Acan: il sindacalista della cgil area vasta centro. 

Vi propongo una lettura di un sermone di sant’Antonio da Padova. Mi succede spesso di approfondire alcuni passi degli scritti che leggo. Questo che vi propongo mi ha impressionato per la sua corrispondenza con quanto un uomo di oggi può vivere dentro la mondanità mercenaria dei nostri tempi. Due cose mi hanno illuminato: il mantello rosso e la figure di Acan. Ma poi leggendo con più attenzione, anche l’argento e la sbarra d’oro di cui il sermone di sant’Antonio parla.

Nella figura di Acan, ho rivisto Scalese, segretario generale della cgil area vasta centro. Se il primo ha nascosto tutto sotto terra nella sua tenda, il secondo lo ha fatto nascondendo ai più e riducendolo ad un solo pezzo di carta inutile: l’accordo sindacale che lui stesso ha sottoscritto. L’argento può essere raffigurato con il salario rubato e la sbarra d’oro, la regola del sindacato: statuto codice etico e regolamento del personale. È impressionante l’adattamento del sermone di sant’Antonio da Padova, alle corrispondenze che io stesso ho vissuto nel sindacato. E per molti aspetti, mi sento la stessa lingua infuocata, che lui ha avuto nei confronti della chiesa e della sua gerarchia, mentre io allo stesso modo, della gerarchia sindacale dentro la cgil area vasta centro. 

Naturalmente per molti le parole delle scritture sono parole morte, inutili, senza nessuna corrispondenza nei giorni nostri, non sono utili alle latitudini del nostro tempo. Al contrario per me le parole, non solo quelle delle scritture ma più in generale della letteratura e della poesia sono come li definisce Massimo Recalcati: “Le parole sono vive, entrano nel corpo, bucano la pancia: possono essere pietre o bolle di sapone, foglie miracolose. Possono fare innamorare o ferire. Le parole non sono solo mezzi per comunicare, ma sono corpo, carne, vita, desiderio. Noi siamo fatti di parole, viviamo e respiriamo nelle parole.”

Però ci sono anche quelli che dalle parole non forgiano la propria morale e etica, ma come un registratore bloccato le ripetono nei loro tanti interventi senza dargli nessuna coerenza con il proprio vissuto. Un esempio plastico è rappresentato da Scalese essendo esso stesso sindacalista. Li svuota del loro significato, riempiendosi la bocca per impressionare uditori sordi. Non so come riesce a farlo, come riesce a vivere ricolmo di parole bugiarde e menzognere. Qual’è la sua forza e quanto riesce ad imbonire la propria coscienza per mantenersi vivo? Di una cosa sono certo, non vorrei mai che questa sua caratteristica si sviluppasse dentro le mie carni. E per non farla nascere, io ho un antidoto: la letteratura e le mie letture. 

“L’unica cosa condizionata nella libreria ubik a catanzaro lido è l’aria, tutto il resto è libertà.” – Questa frase l’ho presa dal profilo di Nunzio -. Non credo che la stessa cosa si possa dire per la camera del lavoro a catanzaro in via salita piazza roma. Al contrario l’unica cosa condizionata è la verità, la libertà, e respirarla ogni giorno alla fine t’intossica il cuore e la mente, come  l’ha fatto per Scalese e i suoi più devoti collaboratori. 

Sant’Antonio da Paola sermone domenicale X  1,9

Giosuè (7,13.19.21.24-25)

    Acan s’interpreta «che corrompe», o anche «rovina del fratello», ed è figura del ricco di questo mondo che corrompe la giustizia, sottraendo ai poveri i loro beni, o negando loro quello di cui hanno diritto, e così diventa la rovina del fratello. Egli ruba il mantello rosso, i duecento sicli d’argento e la sbarra d’oro del peso di cinquanta sicli. Considera che nel mantello rosso sono indicate tutte le sostanze delle persone povere, conquistate con tanto sudore e sangue; nei duecento sicli d’argento è indicata la conoscenza dell’Antico e del Nuovo Testamento; nella sbarra d’oro del peso di cinquanta sicli è simboleggiata la vita di tutti i religiosi.

 Il mantello rosso lo rubano i soldati, i signorotti, gli avari e gli usurai. I duecento sicli d’argento li rubano i predoni del nostro tempo, cioè i prelati e i chierici. E infine la sbarra d’oro del peso di cinquanta sicli la rubano i falsi religiosi.

    I ricchi e i potenti di questo mondo sottraggono ai poveri la loro misera sostanza, conquistata con il sangue, con la quale in qualche modo si proteggono: la tolgono ai poveri, che essi chiamano «i nostri villani», cioè servi della campagna, mentre proprio essi, i ricchi, sono i servi del diavolo. 

Di essi dice Giobbe: «Mandano via nude le persone, rubano loro le vesti e così non hanno da coprirsi contro il freddo» (Gb 24,7). E Salomone: «Chi munge con troppa forza, fa uscire il sangue» (Pro 30,33). E Geremia: «Perfino nelle falde delle tue vesti si trova il sangue dei poveri» (Ger 2,34).

    E la conoscenza dell’Antico e del Nuovo Testamento, che per la sua perfezione e la sua coerenza viene simboleggiata nei duecento sicli d’argento, la rubano i prelati e i chierici, quando la imparano non per istruire ed edificare, ma per ricavarne lodi e onori. Perciò dice di essi Salomone: «Un anello d’oro al naso di una scrofa, tale è la donna bella ma fatua» (Pro 11,22). Il termine sus (maiale), usato nei Proverbi, può indicare anche la scrofa.

    La donna bella è figura dei chierici. Essi sono donna, in lat. mulier, perché molli, effeminati e corrotti, si presentano per denaro nei tribunali e nelle curie, come le prostitute. Bella per la sontuosità delle vesti, per la folla dei nipoti, e forse anche di figli, e per l’accumulo delle prebende. Fatua, perché non capiscono ciò che essi stessi o gli altri dicono (in lat. fantur); tutto il giorno gridano in chiesa, abbaiano come cani, ma non capiscono neanche se stessi, perché hanno il corpo in coro ma il cuore nel foro (in piazza). E anche se ascoltano una predica, non capiscono. Predicare ai chierici e parlare agli stolti: quale utilità in entrambi i casi, se non chiasso e fatica? Essi, benché abbiano il cerchio d’oro della scienza e dell’eloquenza, non si vergognano, proprio come una scrofa, di affondarlo nello sterco della lussuria e dell’avarizia.

    Parimenti, la sbarra d’oro del peso di cinquanta sicli la rubano i falsi religiosi. La sbarra è chiamata in lat. regula, quasi a dire che regola la misura, o che raddrizza ciò che è distorto e difettoso. La vita dei religiosi è una regola d’oro che corregge l’uomo fuorviato e difettoso, lo riporta alla norma del retto vivere e stabilisce la giusta misura in tutte le cose. Quasi tutti i religiosi hanno defraudato questa regola, perché non camminano più secondo la verità del vangelo, non vivono secondo gli insegnamenti dei padri, ma conducono una vita depravata e falsa.