Per alcuni versi mi sento come si sentiva Mastroianni nel film “una giornata particolare”. Ci sono stati episodi nella mia vita dentro il sindacato, per le quali sono stato considerato un depravato, uno stalker. Qualcuno ha cavalcato pure questa infamia.
Ho visto questa scena del film in televisione e per tutto quello che mi è successo, avrei preferito essere un omosessuale. Almeno dentro me stesso avrei trovato una giustificazione plausibile. E forse qualcuno dentro il sindacato mi avrebbe difeso come succede quando qualche omosessuale viene offeso denigrato, malmenato per la sua tendenza sessuale.
Per certi aspetti, io ho solo avuto la sfortuna d’essere un eterosessuale onesto, schietto e sincero. Ho messo al primo posto il lavoro e il diritto dei lavoratori e il rispetto delle regole dentro il sindacato, anche arrivando fino al limite per difendere la mia integrità d’uomo e la mia onestà intellettuale e morale.
Non avendo trovato nessun comportamento, hanno adottato quello più miserevole più cattivo più disumano. Mi hanno cucito addosso e veicolato il vestito più adatto per scartarmi, licenziarmi, e umiliarmi in quella sola perversione culturale che mi brucia dentro di me: la coerenza e il non scendere a patti; consegnandomi al pensiero unico dominante. Molte occasioni ho avuto, ma quando si sogna l’obbiettivo non si pensa al contingente. Bastava dire sempre sì a Talarico, dire di sì a Chiarella. Vastava tenermi il mio posto nell’alpaa. Insomma bastava essere come tanti se non tutti, che ai loro sogni hanno preferito garantirsi il salario con il solito e disonesto detto: attacca i buoi dove vuole il padrone.
Tutti possono essere solidali con chi viene maltrattato e offeso, ma nessuno può sentire dentro di sé gli effetti. Figuriamoci dentro l’ipocrisia istituzionalizzata diventata con il tempo, ossatura di un sistema che io chiamo: sistema Scalese-Mammoliti.
Quando riesci a trovarne uno che sente quello che tu senti, quello diventa tuo fratello, che non ha niente a che fare con la retorica ormai abusata di quelli che si chiamano compagni.
Come in una setta confessionale, l’apostata deve essere messo ai margini, e nell’indifferenza più brutale lasciato solo. Un passa parola che di bocca in bocca con il tempo è diventato dogma, facendo aleggiare nell’aria una possibile ritorsione a chi si avesse macchiato di prendere le difese di quella che sostanzialmente è e rimane una ingiustizia.