«Se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra» (Mt 5,39). Si tratta di un passo non facile del Discorso della Montagna, che per di più viene spesso interpretato in maniera beffarda: se uno è violento con te, tu – come cristiano – devi subire la sua violenza. Insomma, un modo di agire tipico di persone sciocche, o per lo meno ridicole. Ma Gesù voleva davvero dare un tale insegnamento?
Per una corretta interpretazione, si deve notare l’insieme da cui il passo è tratto: «A chi ti vuole portare in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle» (Mt 5,39-42). Ci troviamo di fronte a una serie di detti di Gesù che riguardano l’atteggiamento del cristiano di fronte a situazioni di violenza o di chiara provocazione: un prestito – inopportunamente? – richiesto; una costrizione; un giudizio per togliere la tunica; e soprattutto una situazione di vera violenza (qui non si tratta di un semplice schiaffo, ma di un manrovescio, perché è dato sulla guancia destra; altrimenti sarebbe stato dato su quella sinistra: insomma, un’offesa grave).
In tali situazioni, Gesù non ci chiede di continuare a esporci senza difese alla violenza dell’altro, ma ci chiede di non interrompere il dialogo e di cercare in ogni modo, e lontano da ogni logica di violenza, la strada che porta a un nuovo incontro. Come? Lo Spirito suggerirà a ciascuno il modo di manifestare a chi ci offende, a chi ci usa violenza, a chi ci provoca, che il Padre vuole riconciliarlo a sé, e la nostra disponibilità nell’amore ne sarà il segno. In questo senso, allora, il «porgere l’altra guancia», il «dare anche il mantello», il «fare due miglia invece di uno» stanno a indicare la generosità di chi, vittima, allontana da sé ogni logica di violenza e cerca nella logica – illogica – dell’amore la strada per arrivare al cuore dell’altro.
Nella passione, durante l’interrogatorio del sommo sacerdote, una guardia dà uno schiaffo a Gesù e lo rimprovera: «Così rispondi al sommo sacerdote?» (Gv 18,22). Gesù aveva detto che per conoscere la sua dottrina, si doveva interrogare chi lo aveva ascoltato, perché ha sempre parlato apertamente.
La risposta di Gesù non fugge la situazione di violenza, ma l’affronta e se ne fa carico su un piano diverso: «Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?» (Gv 18,23). Alla violenza che viene dal potere – si tratta di una guardia – Gesù risponde con la forza della verità: non si lascia sopraffare dal male, ma tenta di vincere il male con il bene. E chiede a chi lo ha offeso di ragionare, di discernere il bene dal male e di dimostrargli che cosa ha fatto di male…
Ritroviamo nelle parole finali di Gesù – «Se ho parlato bene, perché mi percuoti?» – il lamento del giusto, di tutti i giusti vittime del male del mondo per essere stati fedeli alla parola di Dio e alla propria missione.
Saverio Corradino S.I. – Giancarlo Pani S.I. – Civiltà Cattolica -16 mar/6 apr 2024-