Ormai la stanchezza mi ha prosciugato.
Qualcuno a monte
ha sbarrato il corso del Fiume
con una grande diga
fatta di pietre e indifferenza.
Pur volendo
non saprei come uscire
da questo stato di cose.
Le sponde ormai diventate alte,
mi lasciano nel greto sabbioso,
e le braccia come ruspe da scavo,
si alternano sulle sponde
per rubare la sabbia;
e poi venderla al migliore offerente.
Nemmeno s’accorgono di chi sta sotto
e scavano con la benna,
che sembra un artiglio di ferro spaventoso.
Dal basso tutto sembra gigante.
Tutto è inesorabilmente
sproporzionato.
La speranza ti vola sopra la testa,
dentro un becco di una rondine.
Scende ad un centimetro dalla testa,
e poi sale repentinamente in cielo.
Passi il tempo a camminare
sulle parole asciutte dei sogni
che avresti voluto realizzare.
T’accorgi che ormai
sono cadaveri legate tra di loro
da un filo tessuto all’uncinetto
come una rete a maglie strette
che imbrigliano tutto.
Risalì il letto del fiume
senza trovare mai tracce d’acqua.
L’unica cosa che t’accompagna
è il ronzio dei motori
e il rumore dei cassoni dei camion
che chiudono il loro carico.
Ti inerpichi sopra i massi,
che un tempo erano scivolosi.
Adesso anch’essi, sono asciutte
come la sete che ti spacca le labbra.
Più capisci e più vorresti non capire
che la tristezza è un dono
di una intelligenza,
che non avresti voluto possedere.