Consigli di lettura.
Come Papa Francesco nella sua lettera sul ruolo della letteratura nella formazione dei sacerdoti, ma estesa a tutti i cristiani, considera la letteratura e la poesia uno strumento importante per la formazione personale, io mi permetto di consigliare questo libro a tutti i sindacalisti e in special modo a quelli al di qua del pollino, più precisamente a quelli dell’area vasta centro.
Paradossalmente anche se dentro la loro attività sindacale, niente dovrebbe essere cannibalizzato come lo è il capitalismo nelle sue espressioni, senza volerlo sì comportano come uno di loro. Parafrasando le parole di Bruno Buozzi, che definiva le aziende nel periodo bellico nella prima guerra mondiale: “fabbriche-caserme”, allo stesso modo, nell’area vasta centro, possiamo destrutturare i termini e coniarne uno, che invece di reggersi sulle lotte, si esprime su un apparato “sindacale-devozionale e di cordata”. Di questo testo penso che ne hanno bisogno un po’ tutti, come ne ho avuto bisogno io. Almeno per capire, per alcuni, la differenza sostanziale tra la lotta e la devozione al capo. Devozione che in alcuni casi fa da contro altare alla paura di ritorsioni, allo stesso modo di un padrone in un sistema capitalista, fa con la forza lavoro.
Una volta finito di leggerlo oltre a convincermi di più di quanto lo ero, che il capitalismo è incompatibile con la democrazia – persino quello che da molti viene considerato “capitalismo buono”,- mi ha ulteriormente convinto, che la conoscenza delle dinamiche di sfruttamento che l’economia capitalista porta in sé – essendo connaturate nella logica imperante dell’ austerità – possa essere ribaltata con una più ampia ed estesa presa di coscienza dei lavoratori.
“E Che cosa direbbe la gente se fosse al corrente che negli ultimi tre anni circa due terzi della ricchezza creata è finita nelle mani dell’1 per cento della popolazione? E che mentre 800 milioni di persone al mondo vanno a dormire con lo stomaco vuoto tutte le sere, 2600 miliardari aggiungono 2,7 miliardi di dollari al loro patrimonio tutti i giorni?”
Bisogna divulgare il più possibile i dati e il perpetuo latrocinio che il capitalisti attuano sull’itera popolazione e i professoroni economisti ortodossi ormai diventati una casta, difendono come l’unica possibilità e l’unica strategia economica attuabile.
Io penso che se la gente sapesse le ruberie del capitale nel dettaglio, e le politiche di austerità che ogni volta vengono sbandierate come gli unici strumenti per risanare i conti degli stati, non se la prenderebbero con i furbetti del reddito di cittadinanza, perché rispetto alle concentrazioni di soldi che accumulano i super ricchi, sono un’inezia. E invece di generare una guerra tra poveri, si cominciasse a generare una vera lotta di classe.
“I dati istat ci dicono che poco meno di un quarto della popolazione è a rischio povertà ed esclusione sociale e più di 14 per cento dei minori versa in condizione di povertà assoluta, ovvero non ha abbastanza per vivere dignitosamente. L’indignazione è fortissima, ma non è scagliata contro l’1 per cento della popolazione, contro i milionari che in Italia crescono in maniera esponenziale e che pagano sempre meno tasse, quanto invece contro i «furbetti» che beneficiavano del reddito di cittadinanza.”
I dati ci dicono che persino la disoccupazione in un sistema capitalista è un fattore che viene generato appositamente, e la precarietà del lavoro salariato dove i lavoratori vengono messi in competizione per abbassare il più possibile lo scontro di classe é uno strumento ormai rodato da anni.
“La tendenza insita nel nostro sistema è quella di aumentare il tasso di sfruttamento, non per la crudeltà dei singoli capitalisti (possono esserlo o meno, è secondario) ma per effetto della pressione della competizione reale. Alcuni ricercatori hanno calcolato che il tasso di sfruttamento dei lavoratori per produrre l’iPhone X (modello 2017) risulta essere venticinque volte più alto di quello in atto nelle fabbriche dell’Ottocento, agli albori della rivoluzione industriale. Gli stessi ricercatori hanno anche evidenziato un altro dato: se Apple volesse produrre l’iPhone negli Stati Uniti invece che nel Sud del mondo, dove può giocare su salari da fame e ritmi di lavoro disumani, e intendesse mantenere lo stesso livello di profitto, dovrebbe venderlo a 30.000 dollari anziché a 900.”
In un sistema tecnocratico, i detentori del capitale, investiranno costantemente per aumentare la produttività dei lavoratori. Innovazione tecnologica e potenziamento della meccanizzazione trasformeranno la produzione. A mano a mano che l’accumulazione procede, si spende più per le macchine che per il lavoro umano. In altre parole, il sistema economico progredisce attraverso tecnologie di risparmio di manodopera. Si pensi che in agricoltura se agli inizi dell’Ottocento impiegava la stragrande maggioranza dei lavoratori italiani (circa il 58 per cento), adesso occupa soltanto il 3,9 per cento della forza lavoro.
Ormai pensano quasi tutti, che chi non riesce ad arrivare a fine mese, o chi resta senza lavoro, la colpa non è del sistema, ma del lavoratore, costruendo così un numero di lavoratori di riserva, che ai bassi salari non possono in nessun modo dire di no. Persino i licenziamenti nella gran parte dei casi, servono per abbassare le tutele, perché ormai se non ti sta bene la condizione del lavoro che ti offrono, ci saranno altri lavoratori che saranno costretti ad accettare salari da fame.
Prendiamo come riferimento Amazon. Non ha nessun problema ad aprire nuovi stabilimenti, trovando, anche in Italia abbondante manodopera da assumere. Anzi, viene corteggiata dai governi attraverso enormi privilegi fiscali. Persino da noi nel sud Italia in Calabria e in Sicilia la disoccupazione giovanile sfiora il 34 per cento Amazon è considerata una grande opportunità. Magari facendola rientrare in quella nuova procedura fiscale come può essere la Zes. Mentre il suo proprietario, pensa alle escursioni spaziali per i super ricchi, nelle nostre regioni, le sue aziende, attraverso una politica aziendale dove il sindacato ha molte difficoltà per entrare, spremerebbe i lavoratori. Ma questa volta non li mette in competizione tra di loro, ma con le macchine e le nuove piattaforme di controllo e di sfruttamento.
“È chiaro che per l’economia capitalista la disoccupazione non è un male eccezionale ma un bene costitutivo e necessario, che difende un “sano” rapporto di forza tra capitale e lavoro. La paura della disoccupazione agisce come strumento che crea ordine e disciplina, ed è talmente forte che porta i lavoratori non soltanto ad accettare la propria condizione di salariati, molto spesso insoddisfatti, ma anche ad adeguarsi a stipendi spesso molto bassi.”
“Che cosa suggerisci allora? La rivoluzione?» Nel nostro immaginario il termine «rivoluzione» è associato a qualcosa di sanguinario, di barbarico, di sbagliato. Altri ancora dicono: «Rassegnati, le abbiamo già provate tutte, no? Guarda alla Russia sovietica e alla Cina!». Queste però sono false alternative, che supportano la narrativa dominante, trattandosi di società che non sono mai riuscite a superare lo sfruttamento e le divisioni gerarchiche. Liberiamoci da queste trappole mentali. Le basi del capitalismo si possono infatti scuotere in una molteplicità di modi, che non è certo mio compito dettare come un semplice ricettario dall’alto, come spesso piace fare agli economisti. È qui che dobbiamo fare tesoro dell’intuizione gramsciana secondo cui la conoscenza al contempo teorica e pratica può guidarci verso orizzonti nuovi ma a patto che ci mettiamo in gioco in prima persona, concretamente. Ognuno di noi può iniziare a muovere timidi passi per «politicizzare» la sua vita. Intendo qui l’espressione «politicizzare» nel senso alto del termine di partecipazione alla trasformazione della realtà materiale e spirituale attorno a sé. La nostra consapevolezza politica può aumentare se partecipiamo a progetti collettivi che producono spazi per la democrazia economica.”
“La teoria e la pratica sono quindi un tutt’uno e devono muoversi insieme per rafforzarsi a vicenda e per sostenere le dinamiche trasformative condivise da una collettività.”
Dobbiamo giocare non soltanto in difesa, protestando quando i nostri governanti tagliano la sanità pubblica e i sussidi per i poveri, ma proporre una strategia di “attacco”. Per rompere la dipendenza del mercato che ci individualizza che ci mette in competizione l’uno contro l’altro e aliena le nostre esistenze dal senso dell’umano.
Non possiamo aspettare solo le elezioni, lasciando tutto il resto del tempo alle leggi e a regolamenti redatti senza il concorso sociale e politico della classe lavoratrice.
I referendum che la cgil propone sono un primo strumento, ma sono insufficienti. La solidarietà tra lavoratori sia publici che privati, gli scioperi e le lotte devono essere capillari e estese in tutto il territorio nazionale, devono ritornare ad essere gli strumenti per liberare l’economia dalla spesa ossessiva e disumana di un capitalismo che limita le libertà dentro un dominio impersonale.
Lavoratori di tutto il mondo unitevi, non è solo uno slogan, ma l’unico vero strumento per cambiare lo stato di cose presenti.