Il mio intervento da spazzino clandestino all’assemblea sindacale

Avrei voluto raccontare a Serena Sorrentino la storia di uno spazzino, uno dei tanti. Le racconterei la storia di Giuseppe, un lavoratore che, come tanti altri, si trova intrappolato in meccanismi che lo tengono lontano dal diritto e dal sentirsi parte di un sindacato.

Vorrei raccontarle come, tra un appalto e l’altro, Giuseppe abbia subito la riduzione dell’orario di lavoro, e come meccanismi politici ed elettorali siano stati usati per ridurlo ulteriormente. Non riesce nemmeno a risalire al tipo di contratto applicato, perché non vede le sue buste paga da anni. Vorrei farle conoscere le condizioni di tanti altri spazzini, anche loro costretti a lavorare con contratti irregolari, lasciati in balia di abusi e soprusi.

Ciò che avrei voluto sottolineare è quanto sia necessario che il sindacato diventi, nel settore dell’igiene ambientale, un sindacato di prossimità. Un sindacato che costruisca una comunità di lavoratori solidale, in cui, se anche un solo lavoratore venisse toccato in un piccolo comune, tutto il sistema reagirebbe. Le avrei voluto dimostrare che, in alcuni casi, sarebbe possibile proclamare uno sciopero solidale. È vero, ci sarebbe potuto essere qualche richiamo dalla commissione sugli scioperi, ma con un po’ di fantasia, come Talarico potrebbe confermare, si possono trovare spazi di lotta anche nelle regole più rigide. A volte, la creatività è l’unico strumento contro burocrazia e speculazioni.

Gli appalti in molti comuni sono gestiti da aziende con la complicità dei sindaci e dei responsabili del procedimento, e spesso in modo “fraudolento”. Questo avviene specialmente dove la sindacalizzazione è bassa e le amministrazioni rinunciano al controllo.

Un altro grande problema è il comportamento predatorio di alcune aziende, che riducono i salari e trascurano gli oneri relativi alla sicurezza. Sarebbe auspicabile avere un RLST (Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza Territoriale) specifico per il comparto, e far sì che le vertenze abbiano un impatto sull’intero settore.

A Catanzaro, i lavoratori sono stati costretti a mobilitarsi per difendere il contratto nazionale di lavoro dopo la pubblicazione di un appalto. Com’è possibile che la stessa pratica, illegittima a Catanzaro, diventi legittima in altri comuni? Forse stiamo assistendo a una nuova forma di “autonomia feudale”, che prende spunto dall’autonomia differenziata di Calderoli, e tenta di anticipare i tempi.

Non dico che servano solo tavoli di confronto con le amministrazioni; ormai, in molti casi, il sindacato è diventato la sezione staccata di un mobilificio. Invece di garantire diritti e mobilitarsi per difenderli, si limita a presiedere a riunioni, mentre i lavoratori, oltre a non ricevere la cassa integrazione, sono costretti a ricorrere agli psicofarmaci.

Perché non monitorare gli appalti prima, per evitare che i lavoratori vengano sacrificati nel silenzio, a vantaggio di logiche speculative? Se persino il sindaco di Catanzaro era all’oscuro dell’irregolarità del bando, forse è il momento che il sindacato costruisca con le amministrazioni un dialogo preventivo, per evitare che vengano adottati meccanismi che penalizzano i lavoratori e ne limitano i diritti.

È ciò che sta succedendo ai lavoratori dell’Abramo: tavoli su tavoli, fino a sfinirli e portarli all’annientamento psicofisico. Papa Francesco lo dice spesso: stiamo creando un sistema in cui i lavoratori sono trattati come merce e considerati scarti.

A questo modello di sviluppo cannibale, in alcuni casi, Il percorso che hanno adottato i lavoratori della GKN, potrebbe essere l’unico modo per risolvere le vertenze e salvare i posti di lavoro. Altre esempi ci dicono che è possibile attraverso cooperative di lavoratori, salvare quello che il mercato vuole cancellare, perché ritenuto non produttivo. Passare da una economia dello scarto, della mercificazione, del bulimico consumo, a quello dei diritti, a quello dove non c’è padrone. Dove l’economia è politica. 

Il problema coinvolge tutti, dal più piccolo al più grande: da Abramo a Stellantis, dall’appalto revocato di Catanzaro a quello nascosto nel più piccolo paese, fino ai lavoratori manutentori del policlinico o quelli del gruppo La Perla. Il mondo del lavoro cambia rapidamente, ma i diritti dei lavoratori non tengono il passo. Solo i lavoratori possono difendersi, rendendosi conto che l’economia è anche politica, e non può essere lasciata in mano ai colossi finanziari e agli interessi di bottega di questa azienda o di quel comune, di quel sindaco o di quel assessore, il cui unico interesse è generare utili, non per reinvestirli, ma per dividersi dividendi per i primi, e favori raccomandazioni e prebende per i secondi. Se l’economia è politica, allora anche i lavoratori devono fare politica, diventando artefici del loro destino in un sistema economico basato su solidarietà, reciprocità e prossimità, contro gli scarti.

Un sindacato che interviene solo quando i problemi sono già esplosi deve fare spazio a un sindacato che prevenga le crisi.

Le vertenze relative ai grandi appalti ricevono spesso attenzione mediatica, ma in troppi comuni, dove la sindacalizzazione è assente, i diritti dei lavoratori continuano a essere compressi.

C’è un solo modo per cambiare questo sistema. Le parole chiave sono: prossimità, solidarietà e lotta. Un sindacato che incarni questi valori può davvero fare la differenza.

Spazzini di tutta la FP-CGIL area vasta centro, unitevi. Il resto verrà da sé.