Il presepe che non ho mai fatto e che non farò.

Una volta avevo il desiderio di fare il presepe alla Camera del Lavoro di Catanzaro. Poi ho lasciato perdere. Nella mia esperienza sindacale ho incontrato tante confessioni di tanti lavoratori. Persino un ateismo religioso che pur negando ogni sorta di fede nel trascendente, s’imponeva esso stesso come una fede dogmatica. Anno dopo anno ho rimandato sempre. Ma alla fine sono contento di non averlo fatto. Oggi, che il mio credere è più maturo di ieri, penso alle Camere del Lavoro come un ospedale da campo. E in special modo al di qua del Pollino, d’ospedali né abbiamo tanto bisogno.

Il non lavoro e lo sfruttamento, le pressioni padronali. Gli incidenti e i morti. I licenziamenti ingiusti e illegittimi. I salari da fame, la precarietà e le raccomandazioni nonché la clientela, al di qua del Pollino sono le patologie da curare. Dentro una sorta di pandemia regionale permanete, queste patologie ormai endemiche in Calabria, saranno debbellate con l’unica cura possibile l’unico vaccino efficace da utilizzare è la lotta di tutti e fortunatamente la lotta, non è sogetta a brevetti.

Che essi siano Cristiani, Mussulmani, o più semplicemente testimone di Geova. L’unica setta incompatibile con la Camera del Lavoro, sono i negazionismi ideologici dei no vax e naturalmente i fascisti. Tutti gli altri possono entrare dentro una Camera del Lavoro e sentirsela come la propria casa. L’unica iconografia ammessa alle pareti dev’essere ispirata alla solidarietà e la giustizia sociale.

Non c’è bisogno di allestire il presepe, perché chi entra dentro una Camera del Lavoro, lo vive tutti i giorni. Certo non nascono i bambini, ma di certo nascono le lotte per difendere diritti negati. Al tempo di Gesù c’erano i pastori che vivevano la loro discriminazione, lontano dagli altri, insieme alle loro pecore. Oggi ci sono i lavoratori poveri, i precari gli sfruttati che non vivono isolati da noi. I pastori di ieri, sono i migranti di oggi. I raider, che al posto delle pecore da guardare hanno la loro bicicletta. Gli invisibili operai che lavorano nei campi per raccogliere quello che serve a bandire tavole opulente e festose per riempire gli stomaci dei babbo natali del capitale economico e finanziario, che ormai governano i nostri appetiti.

C’erano le donne prive di qualsiasi diritto. Oggi ci sono esseri umani, per il quale i presepi tradizionali vogliono disconoscere i loro diritti e la loro esistenza. Il presepe è la storia di una migrazione. Un pellegrinare un muoversi un valicare confini. Si, la rappresentazione del presepe è statica, ma una volta realizzato con tutto quello che serve, diventa dinamica. Uno sguardo dentro quel tempo passato, ti rimbalza sulla quotidianità di oggi e dentro la semplicità di una culla fatta di paglia; il presepe è il passato che si fa storia e diventa tempo presente.

Io vorrei che si potessero realizzare presepi dove tutte le religioni si incontrassero. Calendari condivisi e giorni santificati dalla solidarietà per tutti. Vorrei augurare buone feste e vorrei che dentro le due parole si condensasse un messaggio d’amore di pace e di speranza. Il mio augurio, non deve essere ideologicamente clericale, se vuole essere veramente cristiano. Altrimenti si rischia di scambiare gli auguri di natale con i buoni spesa per lo shopping natalizio. Se Francesco d’Assisi fosse oggi tra noi in carne e ossa, il suo presepe vivente sarebbe un luogo dove le confessioni sarebbero tutte rappresentate. Persino le parole e il linguaggio sarebbero inclusive. Forse persino il nome sarebbe diverso e la rappresentazione non sarebbe una istallazione recinto. Persino i no vax impauriti, sarebbero dentro al presepio rinnovato di Francesco. di sicuro ci saranno gli hab vaccinali.  Me lo immagino, mentre sceglie i personaggi, e per ragioni di spazio si trova a decidere se scartare o includere. Qualche suo compagno gli dice: “France’, sono troppi, non li possiamo mettere tutti. France’ su assai….”. Prima lo ascolta e poi con la sua proverbiale e disarmante semplicità gli dice: “Nel mio presepe non ci sono scarti. Se necessario, useremo anche la superficie della la luna. Ci faremo prestare il razzo da Jeff Bezos.”

Tutto dentro una Camera del Lavori deve essere improntato sul rispetto di tutti. Anche il linguaggio. Il protocollo europeo sul linguaggio, anche se a mio avviso, ha avuto una formulazione e una votazione frettolosa, non può non essere argomento di riflessione. Non sto parlando di cancellare le parole dal nostro vocabolario, ma adottare un comportamento linguistico rispettoso di tutti, specie negli ambiti istituzionali. Non dico di adottare una obbligatorietà delle parole, ma adottare in ambiti istituzionali comportamenti linguaggi e parole inclusive e non di scarto. Naturalmente nessun protocollo può cancellare dalla carne dei credenti la parola Natale. Come nessuna legge può farlo con i riti e le festività di altre religioni. Io sono un credente anomalo, e altrettanto un sindacalista anomalo e spero che un giorno ci sia la possibilità di poter fare nella Camera del Lavoro di Catanzaro, un presepe che non offenda nessuno e dove tutti si possono sentire tutto. Capisco che sembra assurdo, se tutto viene visto da un punto di vista solo Salviniano. Io penso al contrario che il rispetto passa anche dal linguaggio e dalle parole. E forse le radici culturali di alcuni, sono più significativamente rispettate se rispettano anche le altre radici culturali, al di la della maggioranza o minoranza dei numeri.