Inchiesta

L’Espresso 12 gennaio 2020

‘Ndrangheta Italia. La multinazionale del cri- mine più apprezzata dal potere. Accolta nei pa- lazzi della politica, nei santuari della inanza, nelle cattedrali del capi- talismo moderno. Un marchio italiano, ma non sovranista, piuttosto globalista. Potere e crimine, liturgie del denaro e riti arcaici impastati nella stessa organizzazione. Go- vernatori di Regione implicati all’ombra delle Alpi, assessori regionali coinvolti a Torino, sindaci sostenuti dalle cosche in Um- bria e in Emilia, ex senatori massoni arre- stati con amici banchieri e pezzi grossi dell’alta inanza. Il Paese reale trasformato in mangiatoia da un sistema criminale che vanta migliaia di ailiati, centinaia di sedi dislocate in Italia e nel mondo, un numero impressionante di complicità spesso celate dietro la nebbia padana. ’Ndrangheta come un “franchising”, hanno scritto i giudici della Cassazione per spiegare il funziona- mento e la strategia delle cosche calabresi fuori dai conini regionali. Dallo Stretto di Messina alle Alpi. La pervasività delle ’ndri- ne è scolpita con dati e numeri sulla carta di centinaia di fascicoli: soltanto nel 2019 sono state portate a termine 40 inchieste in tutta Italia. Oltre tre al mese, quasi un mi- gliaio tra indagati e arrestati. Boss e inso- spettabili della buona borghesia. Eppure la ’ndrangheta nell’immaginario resta un fe- nomeno folkloristico, in fondo «innocua, perché non spara come una volta». E la politica? Latita. Distratta dal clima perenne di campagna elettorale, il tema immigrazione si prende la scena. Intanto la ’ndrangheta holding avvelena l’economia con i capitali sporchi e la democrazia del Paese dirigen- do il consenso elettorale. Come dimostra l’ultima inchiesta “Rinascita-Scott” che fa tremare il sistema. Una maxi operazione condotta dal Ros dei carabinieri guidati dal generale Pasquale Angelosanto e coordina- ta dal procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri: 334 arresti, oltre 400 indagati, beni sequestrati per 15 milioni, 3 mila militari in campo nella notte tra il 18 e il 19 dicembre.

LA CERNIERA

Ma l’Atlantide sommersa della maia cala- brese sta oltre queste cifre. Sta in igure cerniera, uiciali di collegamento tra sot- tobosco maioso e società civile. Tra questi c’è l’avvocato, massone ed ex senatore di Forza Italia (di recente vicino a Fratelli d’Italia) Giancarlo Pittelli, indagato per con- corso esterno alla cosca Mancuso di Lim- badi, paesino della provincia di Vibo Va- lentia, noto più per la produzione dell’ama- ro del Capo che per essere regno di una delle più potenti famiglie di ’ndrangheta. Per capire chi sono i Mancuso di Limbadi, dobbiamo tornare al 1983, quando il capo bastone Ciccio Mancuso vinse le elezioni da latitante. Dovette intervenire il presi- dente della Repubblica Sandro Pertini per sciogliere il Comune. Mancuso e politica. Un’eredità che ora ha travolto Pittelli.

A casa sua i carabinieri durante le perquisi- zioni hanno trovato appunti scritti a mano: un elenco dettagliato dei temi dell’inchie- sta “Rinascita”. Chi ha informato Pittelli dei segreti di un’indagine riservatissima? Di certo l’avvocato del boss gode della sti- ma di un pezzo della magistratura. Le cimi- ci del Ros hanno persino registrato una ce- na nella sua abitazione con otto magistrati e altri professionisti. Toghe, spiegano fonti autorevoli a L’Espresso, non della procura ma di altri uici giudiziari di Catanzaro. Contatti privilegiati dell’ex senatore initi in informative senza ipotesi di reato invia- te alla procura di Salerno competente sui magistrati catanzaresi. Toghe, e pure ve- scovi amici. Prelati del calibro di don Francesco Massara, l’ex parroco di Limbadi, nominato da Papa Francesco arcivescovo di Camerino-San Severino Marche. Grazie a don Massara, Pittelli dice di aver «ottenu- to la tessera del Vaticano». E il vescovo ha mediato ainché l’avvocato della ’ndrina potesse incontrare Monsignor Giuseppe Russo, sottosegretario dell’Apsa – l’ente che gestisce il patrimonio della Santa Sede – per valutare l’acquisto di alcuni immobili del Vaticano. Questa ’ndrangheta è un sistema crimina- le che agisce su più livelli. Alcuni visibili a occhio nudo: militare (con bombe e intimidazioni) e imprenditoriale (quattrini spor- chi che creano concorrenza sleale). Altri invisibili: inanziario (lussi di riciclaggio che approdano nei paradisi iscali) e politi- co (pacchetti di voti che si spostano da un candidato a un altro).

TERRA DI MEZZO

L’avvocato Pittelli è dunque accusato di es- sere la cerniera tra due mondi. Un complice esterno, per i pm. Non secondo il giudice che ha ordinato l’arresto: convinto che l’ex senatore sia organico al clan, ora toccherà al Riesame decidere sul ricorso di Pittelli. Di certo avrà molte cose da spiegare agli in- quirenti. A partire da quell’incontro a Mes- sina con il rettore dell’Università per pre- sentargli la iglia del boss Mancuso, studen- tessa di Medicina in diicoltà con un esame. «“Troppo avvocato, troppo avvocato” si è messa a piangere… che bella famiglia», questa la reazione della rampolla, conida- ta dall’ex senatore a un amico. Il portafoglio contatti dell’avvocato del boss è ricco. C’è Fabrizio Palenzona, ex nu- mero due di Unicredit, presidente di Aiscat e di Prelios (ex Pirelli Re) la società di ge- stione e servizi immobiliari fondata da Marco Tronchetti Provera. Le informative del Ros riportano gli scambi di sms e gli in- contri tra il banchiere e Pittelli, che lo deinisce «mio grandissimo amico». Per i de- tective «Pittelli metteva a disposizione di Prelios i suoi rapporti privilegiati con Luigi Mancuso in cambio della disponibilità del- la stessa società inanziaria di appoggio per le sue iniziative imprenditoriali». L’ex senatore ha incontrato Palenzona a Mi- lano il 6 luglio 2018 negli uici della società. Qui Pittelli ottiene un incarico speciale e potenzialmente milionario. Prelios gli chie- de la cortesia di trovare un acquirente per il villaggio turistico ex Valtur da vendere a un prezzo stracciato. «Non sappiamo più cosa farcene… siamo disperati», gli dice un diri- gente Prelios. Pittelli accetta per fare «una cortesia a Fabrizio Palenzona», che la sera stessa scrive un sms all’amico: «Caro Giancarlo, mi ha fatto molto piacere ino alla commozione rivederti. Grazie per la tua preziosa Amicizia, un forte abbraccio!!! Ps fammi sapere gli estremi del terreno».

L’ex senatore sa bene però che nel regno di Mancuso spetta al mammasantissima l’ultima parola: «A Nicotera questa storia la puoi vendere se hai un placet. Nicotera risponde a Luigi Mancuso», dice. Lo in- contrerà al più presto, per chiedergli: «In- teressa a qualche imprenditore della zona? Dobbiamo rispettare, non possiamo fare i cretini».

Il giorno dopo aver incontrato l’ex Mr Unicredit, l’intraprendente Pittelli riceve Giuseppe Mussari, l’ex presidente di Mps e di Abi condannato lo scorso novembre a 7 anni e mezzo per il buco provocato dall’acquisizione di Antonveneta. Mussari è ca- tanzarese come Pittelli, dopo la catastroi- ca esperienza da banchiere, è tornato alle origini: «Questo non è il mio lavoro», con- fessò quando diede le dimissioni da Abi. Mussari e Pittelli durante l’incontro di lu- glio 2018 parlano del ghiotto afare Valtur proposto da Prelios: «Giusè, è una roba nella quale possiamo guadagnare 3-4 mi- lioni di euro… a te non interessano i soldi… ti sfotto, ma che sei fesso!» L’ex banchiere sul denaro è suscettibile e vuole essere chiaro: «Io non ho più una lira perché ho pagato i miei avvocati, ma ho un’altra logi- ca di vita, quando ho avuto i soldi non mi sono fatto mancare niente, perché tanto tutto quello che dovevo fare, i ristoranti, gli alberghi, le vacanze, i viaggi… ma ti assicu- ro non me ne fotte più niente». Poi pro- spettano due ipotesi: vendere il villaggio a un grosso operatore turistico o a un costruttore per poi ampliarlo. Per questa se- conda ipotesi saranno necessarie nuove concessioni dal Comune di Nicotera. Nes- sun problema per la coppia Pittelli-Mussa- ri: «Vado a parlare con il Sindaco, dopodi- ché i contatti col Comune te li segui tu… Giuse’! è lavoro! Secondo me possiamo guadagnare due, tre milioni… tranquilla- mente». Prima di salutarsi c’è il tempo di una battuta sui magistrati: «Tu li odii… io pure», ride Pittelli. Mussari saluta accen- nando un sorriso. Prima Palenzona, poi l’ex Mps, inine tocca al boss Luigi Mancu- so: Pittelli lo incontra il 9 luglio. E per il Ros hanno «discusso della questione (Valtur)».

‘NDRANGHETA ALPINA

Finanza, afari, politica. Lasciando la Cala- bria, cambiano i cognomi dei padrini, ma non la ritualità con la quale la ’ndrangheta organizza il banchetto per sedurre il potere. A giugno scorso la procura antimaia di Bo- logna ha messo sotto inchiesta 80 persone: uomini della cosca Grande Aracri e anche l’allora presidente del consiglio comunale di Piacenza, Giuseppe Caruso (Fratelli d’I- talia, poi sospeso). Un’indagine che segue la sentenza storica del maxi processo Aemilia, dove il pm Beatrice Ronchi ha ottenuto tra rito ordinario e abbreviato 160 condan- ne su un totale di 200 imputati. Alla sbarra capi clan ma anche colletti bianchi, politici e imprenditori emiliani doc.

Il 2019 sarà ricordato a lungo in Valle d’Aosta. All’ombra del Monte Bianco coman- dando le ’ndrine originarie di San Luca, paesino ai piedi dell’Aspromonte: pioniere nella globalizzazione della maia calabre- se, le prime a creare un network del narco- traico mondiale con basi strategiche in Germania, Belgio, Olanda e Sud America. Nella regione alpina più piccola d’Italia hanno trovato una calorosa accoglienza. Perciò hanno puntato in alto, alla politica, seguendo il protocollo che conoscono a memoria. Risultato? Il governatore della Regione Antonio Fosson (già Union Val- dôtaine, poi Stella Alpina) è indagato per voto di scambio, si è dimesso dopo la noti- zia del suo coinvolgimento. L’inchiesta della procura di Torino, in realtà, rivela molto altro: non il solo Fosson avrebbe chiesto voti alla ’ndrangheta dei Nirta di San Luca, ma anche i due governatori precedenti. Nelle inchieste sulle ’ndrine in Valle spunta anche il nome di Augusto Rollandin, ras della politica locale: più vol- te governatore della Regione, è stato as- sessore e anche senatore, a capo per tre anni del partito Union Valdôtaine, a mar- zo scorso condannato in primo grado per corruzione. E seppure non risulti indaga- to, avrebbe incontrato uno degli emissari del boss Nirta.
Nella rete dell’antimaia sono rimasti im- pigliati pure pesci piccoli della politica ao- stana: assessori regionali e consiglieri comunali. Vista dal suo crinale oscuro, Aosta non sembra distante 1500 chilometri da San Luca.

MILANO-TORINO

I voti come i soldi non hanno odore. Regola valida anche in Piemonte. Qui, sempre a di- cembre, un altro pezzo da novanta della politica è inito sotto inchiesta per i voti comprati dai boss. Per Roberto Rosso, as- sessore regionale del centrodestra (Fratelli d’Italia), sono scattate le manette. Secondo i pm di Torino ha acquistato un pacchetto di voti al prezzo di 15 mila euro, 7.900 già pagati. L’ormai ex assessore si è difeso so- stenendo che quei soldi servivano per la campagna elettorale. Rosso è stato deputa- to di Forza Italia dal 1994 al 2013, è stato sottosegretario e vice presidente della Re- gione ai tempi della giunta leghista di Ro- berto Cota. La ’ndrangheta in Piemonte ha una storia antica. Il primo Comune sciolto per iniltrazioni della maia al Nord è Bar- donecchia. A metà anni ’90 le ’ndrine si era- no prese già tutto. I mercati più redditizi, gli appalti, i servizi. E anche la politica. Che finge di non saperlo. Così dopo Bardo- necchia, in anni assai più recenti, sono stati sciolti due Comuni della cintura torinese.

Il timbro delle cosche è evidente pure sull’alta velocità che conduce da Torino a Milano. Inchieste di qualche anno fa han- no dimostrato l’ingerenza delle cosche nei subappalti per la realizzazione dei lavori del tratto ferroviario. Nella capitale mora- le d’Italia la ’ndrangheta è la vera protago- nista del crimine. In centro, come in ogni paese dell’hinterland, dove gli inquirenti e i processi hanno accertato l’esistenza di almeno due dozzine di “Locali” (gruppi ra- dicati sul territorio). A inire nella rete so- no spesso politici, accusati di complicità con le ’ndrine padane: l’ultimo a giugno scorso, un consigliere comunale di Fratelli d’Italia, Enzo Misiano eletto a Ferno, pro- vincia di Varese.

LA GOLA PROFONDA

Come e dove si incontrano crimine e pote- re, ’ndrina e politica? Seguire questa pista ci porta sull’uscio di templi massonici, fre- quentati da avvocati, medici, imprenditori, magistrati, prelati, forze dell’ordine, boss e loro emissari. Tutti insieme nella stessa loggia. Tra i primi a capirlo è stato Giusep- pe Lombardo, procuratore aggiunto a Reg- gio Calabria. Dalla Locride, per esempio, arriva una gola profonda che ha raccontato ai magistrati i segreti delle logge di quel ter- ritorio bagnato dallo Jonio. Nei verbali letti da L’Espresso c’è la geograia dei “grembiu- lini” del territorio, racconta chi sono i boss ailiati alle logge e fa il nome anche di don Pino Strangio, il potente parroco di San Lu- ca, che vanta solide sponde in Vaticano e ino a qualche tempo fa era il priore del san- tuario di Polsi, luogo sacro e di riunioni del- la ’ndrangheta. Don Strangio è attualmente imputato nel processo Gotha sul livello oc- culto della maia calabrese insieme all’ex senatore Antonio Caridi. Don Pino «è un massone anche se non risulta uicialmente registrato», rivela il testimone, e precisa: «Fa parte anche dei “Cavalieri di Malta” da circa 12 anni, così come anche tale Nirta di San Luca con il quale il prelato si è recato a Malta per essere insigniti dell’Ordine». Il super testimone ha poi raccontato che do- po un’importante indagine antimaia alcu- ni “fratelli” di loggia hanno modiicato i re- gistri «per eliminare i riferimenti alle per- sone coinvolte nell’operazione». Inoltre ha spiegato che della «loggia di Locri» faceva- no parte «molti professionisti, appartenen- ti alle forze dell’ordine e persino religiosi» e che «alcuni confratelli non sono inseriti nei registri uiciali, per ragioni di opportuni- tà». Ci sarebbero anche logge chiuse ui- cialmente e poi riattivate, con a capo, so- stiene il testimone, rampolli della ‘ndran- gheta di San Luca. Nulla di illegale, certo. Indossare un grembiule massonico non è reato: in Calabria sono oltre 9 mila gli iscrit- ti sparsi in 178 logge regolari, 57 sono state sciolte dalle varie obbedienza. Molte di quelle “sospese” erano frequentate da ’ndranghetisti o loro fedelissimi. Al ianco delle logge registrate, però, sopravvivono quelle coperte fa notare il teste: «non forni- vano le liste dei nomi e degli indirizzi con- trariamente a quanto previsto dal “decreto Anselmi”». Prima di Natale è inito nei guai un pezzo grosso della massoneria calabre- se: Ugo Bellantoni, gran maestro onorario della più importante loggia di Vibo Valen- tia, la Michele Morelli (Grande Oriente d’I- talia). Indagato per concorso esterno alla maia nella stessa inchiesta che ha travolto il “fratello” massone Giancarlo Pittelli. Bel- lantoni è tra quei massoni in «rapporti con la ’ndrangheta», accusa il pentito Andrea Mantella, «nel senso che gli chiedevano fa- vori e loro si mettono a disposizione». Fratelli di ’ndrangheta e fratelli di loggia, più o meno uiciale. Un altro collaboratore di giustizia, Marcello Fondacaro, ripercorre i suoi inizi a Roma: ailiato prima a Roma alla Giustinianea, poi si trasferisce in Cala- bria. Qui ricorda una riunione in una loggia coperta, nella Locride, in un hotel di una famiglia maiosa. Gli fecero capire che era un’articolazione nata sulle ceneri della P2. Un sistema criminale, appunto.