Domani si terrà uno sciopero generale di 8 ore. Dopo gli attacchi di Salvini al diritto di sciopero, credo sia fondamentale partecipare. Lo considero da sempre l’unico strumento efficace che i lavoratori hanno per rivendicare i propri sacrosanti diritti. Tuttavia, non voglio focalizzarmi sullo sciopero in sé, ma su alcune riflessioni legate al contesto attuale.
Un appunto sulle parole di Salvini lo voglio fare. Non per contrappormi direttamente a lui – per questo basta essere un normale cristiano, come lo sono, per trovarmi distante anni luce da lui – ma per denunciare una questione grave: la precettazione è un vero attentato al diritto di sciopero. Eppure, la maggioranza di governo, da Giorgia Meloni a Matteo Salvini, insiste nel sostenere che l’economia è in crescita e che i posti di lavoro aumentano. Ritengono quindi incomprensibile uno sciopero generale contro il “governo del fare”.
Ma è sufficiente osservare la realtà per capire quanto queste affermazioni siano lontane dalla vita quotidiana delle persone. Molte aziende chiudono, lasciando migliaia di lavoratori senza reddito. Persino le aziende che sembrano andare bene, a volte chiudono improvvisamente per delocalizzare. Altre, come nel caso di Stellantis, sembrano manipolare la situazione, con la complicità del governo, per ottenere sempre più vantaggi.
Di fronte a tutto questo, credo sia necessario che i sindacati inizino a ripensare la loro strategia. Gli scioperi, oggi, appaiono come rituali ripetitivi, privi di un reale impatto. Guardando le foto delle manifestazioni nazionali degli anni passati, si ha l’impressione di rivivere sempre le stesse richieste, senza mai ottenere i risultati sperati. Nel frattempo, i problemi peggiorano: più precarietà, più fame, più ingiustizia. Le file alla Caritas aumentano, i salari da fame sono ormai una costante, e i morti sul lavoro diventano solo numeri da conteggiare per non perdere il conto.
Le modifiche al codice degli appalti, promosse dall’attuale governo, rappresentano un ulteriore attacco ai diritti dei lavoratori. Eliminando l’obbligo per le aziende di applicare i contratti collettivi nazionali più rappresentativi, si apre la strada a una speculazione al ribasso sui salari. Già oggi, in alcuni appalti, lavoratori che svolgono lo stesso compito hanno contratti diversi; con queste modifiche, tale ingiustizia sarà pienamente legittimata. Si rischia una giungla contrattuale in cui il contratto di lavoro non protegge più i lavoratori, ma diventa uno strumento di dominio per i datori di lavoro.
Anche la rappresentanza sindacale, frammentata e squilibrata, contribuisce da anni a mortificare i diritti dei lavoratori. Pensioni impoverite dall’inflazione, aumenti salariali che non compensano il caro vita: tutto questo dimostra che il sistema attuale non funziona. Non basta dire che uno sciopero o una manifestazione sono l’inizio di una battaglia più ampia. Troppe volte, dopo questi inizi, tutto si riduce a una lotta rituale, priva di continuità.
Serve una nuova strategia, una lotta che diventi permanente e che sia radicata nella solidarietà. Solo da questo legame può nascere una rivolta sociale capace di produrre un reale cambiamento. Altrimenti, rischiamo di ripetere gli errori del passato, come con la “coalizione sociale”, uno slogan che non ha mai trovato un’applicazione concreta.
Un’idea per rendere questa mobilitazione permanente potrebbe partire dalla CGIL Area Vasta Centro. Se fossi un dirigente, proporrei di devolvere alla lavanderia di Papa Francesco la retribuzione di tutti i dipendenti della CGIL e del sistema servizi per la giornata di sciopero del 29 novembre 2024. Sarebbe un segnale concreto di solidarietà. E se le cose continueranno così, potremmo persino istituire una “lavanderia della CGIL Area Vasta Centro”, simbolo di una lotta che si rinnova ogni giorno.