Landini s’accontenta d’essere onesto come Enzo Scalese Bruno Talarico e la Bertuzzi. A me non mi rimane che la domanda d’invalidità.

Se io fossi stato licenziato direttamente da Landini, forse sarebbe stato meno umiliante, anche se essere licenziati dentro un sindacato per me risulta un abominio. Mi sarebbe passato senza nessun strascico mentale. Senza passare periodi a decifrare capire e comprendere perché; sia Scalese, sia Talarico sia l’ex segretario generale Raffaele Mammoliti oggi consigliere regionale, hanno pensato per un secondo di licenziarmi. Per di più non avrei mai pensato che avrebbero utilizzato la pandemia, per generare un giocattolo burocratico cosi astutamente infamante per attuarlo. Non serve a richiamare accordi, lettere, né responsabilità. Ormai tutti sanno. Ormai chi non vuole capire negando la palese ingiustizia che hanno commesso nei miei confronti, è come negare la responsabilità dell’uomo nei cambiamenti climatici. 

Pensavo che non si aspettasse la fine della causa. Consideravo la firma di un accordo: “Sacro”. Come potrebbe mai un sindacalista disconoscere un accordo sottoscritto, riducendolo a burocrazia senza valore. Per tutto quello che ho assorbito dentro la CGIL, e con i rapporti dei lavoratori che ho tutelato e ho incontrato nella mia attività politica sindacale, nella mia testa non era nemmeno concepibile pensare un tale comportamento. Certo lo avrei pensato per un padrone, o un consulente del lavoro, ma mai avrei potuto concepirlo da parte di un sindacalista. Come al solito ho pensato per gli altri, sbagliando, valori morali ed etici e politici, almeno allo stesso mio livello. Pensavo che quando nelle riunioni e negli incontri sugli appalti si parlava di clausole sociali e di tutelare il lavoratore nelle riorganizzazioni aziendali e nei cambi d’appalto, Scalese capisse che valevano pure per lui nel gestire l’unificazione e la riorganizzazione della CGIL Area Vasta Centro. Cosi non è stato e con il beneficio delle tenebre pandemiche, ha pensato di generare Scarti e licenziare personale.

Se avessi voluto difendere la mia posizione, bastava usare l’immorale e disonesto comando: attacca u ciucciu duva vo u patruna. Avrei potuto rimanere all’ALPA, e forse oggi sarei assunto nella struttura Regionale. Avrei potuto rimanere nella FPCGIL, basta che avessi detto sempre di si a Talarico, anche quando le sue pretese erano per me assurde. Chiedete agli spazzini se volete avere ragguagli, loro sanno meglio di tutti, meglio di chiunque altro. La stessa cosa vale per la Fiom. Se non avessi litigato con Claudio, pace alla sua anima, sarei stato assunto alla FIOM. Io sono convinto che se Claudio non avesse passato quello che ha passato, pure se ci siamo scannati, alla fine avrebbe impedito il mio licenziamento. La stessa cosa, penso che avrebbe fatto Massimo Maida. Ma sfortunatamente, chi mi poteva aiutare oggi è in cielo. E di tutti quei compagni che son rimasti, chi ha utilizzato della mia condizione approfittandone per i propri fini , chi invece si è disinteressato attuando una indifferenza, la più meschina. Sono convinto che persino Domenico Aspro, se avesse saputo in vita del mio licenziamento, quando vedeva Scalese, gli avrebbe riso in faccia. Di sicuro oggi gli ride dal cielo, ma lui non se ne accorge. Se per Gramsci l’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita, nella Cgil Aria Vasta Centro l’indifferenza e più in linea con quella Ignaziana, ma letta all’incontrario: non santa, ma mercenaria. 

Da quando ho messo piede nel sindacato, e da quando sono stato contrattualizzato per la prima volta, il mio obbiettivo era quello di poter difendere i lavoratori. Anche se mi occupavo di agricoltura e con la tutela dei lavoratori non aveva niente a che fare. Anzi per certi versi, facevo il lavoro del padrone. Assumevo e licenziavo manodopera agricola. Persino la responsabilità assunta nel settore della PAC (Politica agricola comunitaria) era solo un altro incarico assegnatomi burocraticamente, senza nessuna corrispondenza contrattuale. Chiedete a Talarico come sono diventato responsabile dell’ufficio del ALPA presso la camera del lavoro della CGIL di Catanzaro Lido. Se non credete a lui chiedete a Francesco Vescio. Per non darlo all’altra compagna che lavorava con noi, qualcuno se lo doveva intestare. Me l’hanno imposto a me. 

Comunque anche se non era un mio obiettivo rimanere all’alpa, il lavoro l’ho sempre fatto con diligenza e responsabilità e con onore. Persino quando lo stesso Scalese, oggi segretario generale della CGIL, fu per un breve periodo commissario dell’alpa, molti anni fa. E già da quel rapporto il comportamento nei miei confronti, non era del tutto legittimo. Per poter ricevere il solito contributo mensile come rimborso spese, perché all’epoca ancora non ero stato assunto, ho dovuto fare i salti mortali. Ne sa qualcosa Sergio Genco, all’epoca segretario generale confederale della CGIL Catanzaro Lamezia. Gli screzi covavano da lontano, ma sono affiorati, persino nell’ultimo periodo, quando mi sono schierato contro la sua candidatura a segretario confederale. 

Non era il mio obbiettivo rimanere all’alpa, ma all’inizio, io non avrei fatto nessuna distinzione se invece di caricare ed elaborare dati mi avessero preso per pulire le camere del lavoro, perché per me e per i miei obbiettivi e percorsi professionali, non faceva nessuna differenza. Persino il mio rapporto contrattuale passava in secondo piano. L’obbiettivo era difendere i lavoratori, sperando, come doveva avvenire nella Fiom, di passare definitivamente ad una categoria sindacale. Ho da subito cercato di fare politica sindacale, e alla prima occasione ho aderito ad un’aria programmatica. Grazie alla CGIL che vogliamo, sono entrato dentro al comitato direttivo e nell’assemblea generale della cgil. Da li, poi sono entrato nella Fiom provinciale e regionale. 

Non so se il giudice mi darà ragione. L’attesa per me sta diventando infernale. Non sapere cosa fare e aver sperato in questi anni che le cose si potessero risolvere senza il giudizio di un tribunale mi manteneva la speranza accesa. Adesso capisco cosa sentono i lavoratori che debbono aspettare la decisione di un giudice. Una procedura lunghissima, che lascia il lavoratore senza risposta, e se lo stesso lavoratore sa che il suo licenziamento è un’ingiustizia, deve sperare che quello che sente sulla sua pelle, venga impresso su una sentenza del tribunale. 

In questa interminabile attesa, sia il livello regionale che nazionale, sia della Fiom che della cgil, non hanno avuto la decenza di ascoltare le mie ragioni e valutare la documentazione prodotta del mio rapporto contrattuale. Come era previsto nei regolamenti, e come io ho chiesto formalmente senza avere nessuna risposta. Sia il responsabile d’organizzazione Gianfranco Trotta, che il segretario Generale Angelo Sposato, si sono disinteressati. Anche alle numerose richieste d’incontro fatte dal mio legale. Forse speravano che con la pandemia che mordeva, forse tiravo le cuoia, e non se ne parlava più. Non mi hanno nemmeno fatto rientrare dalla cassa integrazione. Mi hanno licenziato mentre ero in cassa integrazione e senza guardarmi negli occhi. 

Speravo e apprezzavo Landini, come apprezzo Papa Francesco, con le dovute differenze, s’intende. Ma mio malgrado debbo registrare, che è più facile parlare con Papa Francesco che con Landini. È più facile scrivergli, e ricevere risposta da Francesco, che con la posta di Maurizio. Ho provato in tutti i modi a chiedere udienza. Ma adesso ho capito perché a me non mi voleva ricevere, ne intervenire per impedire che si commettesse un’ingiustizia nei miei confronti. Era occupato a licenziare Massimo Gibelli. Naturalmente una delle tante differenza tra Massimo Gibelli e me: lui ha lavorato con giganti del sindacato, io mi sono dovuto accontentare di Bruno Talarico e Claudio Chiarella e Massimo Covello.

Da sempre per Landini ho avuto, in alcuni frangenti pure affetto, da sempre lo apprezzavo, perché forse lui non lo sa, ma quando gli altri al di qua del pollino dovevano decidere tra Colla e lui, sono stato uno dei pochi che lo ha sostenuto pubblicamente nella sua prima candidatura a segretario generale della cgil. Mentre tanti si sono, come si dice di solito: tenuti la mano.

Un’altra differenza sostanziale con Massimo Gibelli; lui è ha mezzo passo dalla pensione, io sono lontano dalla pensione quanto e largo lo stretto di Messina senza ponte. Io, un prossimo cinquantenne che risiede nella zona più depressa che c’è in italia: la Calabria. Lui a Roma e con un’esperienza da giornalista di 40 anni di lavoro. Però non capisco come non è stato possibile per lui accedere alla quota per il pensionamento anticipato. Naturalmente questo non ha niente a che vedere con il licenziamento ingiusto. Uso l’aggettivo ingiusto, perché a mio avviso è più potente dell’illegittimo. Il primo si rifa ad uno spessore morale di chi commette il licenziamento, il secondo ad un valore solo burocratico e legalitario. 

Io non ho partecipato all’ultimo congresso, perché mi hanno totalmente escluso, ma se avessi potuto partecipare, avrei proposto un emendamento per iscrivere nello statuto della CGIL, che le controverse interne si debbono risolvere prioritariamente all’interno dell’organizzazione. Il percorso amministrativo che si deve attuare prima di accedere alla via giudiziaria, deve essere ispirato ad una e più ambia generale solidarietà. Per escludere il più possibile la via giudiziaria. Se facessimo una ricerca giurisprudenziale, ci accorgeremmo che la via giudiziaria al di qua del pollino è la più usata, e la solidarietà, quella che Landini decanta spesso, è andata a farsi fottere. Si è squagliata come neve al sole, come lo zucchero filato, appena tocca la saliva. 

Se devo mandare il mio curriculum ad un’azienda dalle mie parti, devo omettere tutto il lavoro sindacale che ho svolto presso l’ispettorato del lavoro. Dovrei omettere tutto il lavoro che ho fatto e che ho contribuito a fare, nel settore dell’igiene ambientale. Persino l’esperienza come RLST con la Fiom. Le conciliazioni al prefetto, e le monocratiche all’ispettorato del lavoro. Persino il bel risultato che abbiamo ottenuto sulla proclamazione dello sciopero, nei settore dei servizi minimi essenziali. Insomma un sindacalista formato per fare il sindacalista, licenziato ingiustamente a 50 anni per essere in Calabria un futuro disoccupato.

Parafrasando Vincenzo Salemme, mi chiedo se posso fare la domanda d’invalidità.