Io ricordo di aver visto un video di un comizio di Beppe Grillo che dal palco intimava di ammainare la sola bandiera presente, l’unica che dalla piazza emergeva sulle teste delle persone. La bandiera era quella di Guevara. Non vorrei che il format del movimento delle sardine sia lo stesso. Ho paura più di una sinistra senza bandiere che di una destra che mostra la sua. Non mi affascinano i movimenti che costruiscono leader che passati in televisione, diventano speranza per tutti coloro che ormai non si sentano rappresentati da nessuno.
Non mi piacciono i leader.
Avevo tutti i miei capelli quando la sinistra chiedeva di cancellare la legge Fini Bossi. Oggi invece si sono aggiunti a quella legge i decreti sicurezza di Salvini, e prima ancora l’arranciarsi di Minniti. Li avevo tutti come avevo tutti i miei denti del giudizio, quando esisteva una legge che identificava il canone d’affitto come “equo canone”. Quando lo Stato con il suo patrimonio immobiliare calmierava i prezzi degli affitti. Oggi invece gli affitti non si calmierano più e la casa non è un diritto, ma una necessità a cui si può fare a meno. Tanto ci sono i ponti e le strade. E per il pane la carità della gente o della Caritas. Oggi, il reddito di cittadinanza che attenua la fame ma non la rabbia, di chi desidera solamente lavorare dignitosamente.
L’occupazione sociale delle case era una necessità tanto ieri tanto quanto lo è adesso. Ieri avevamo Guevara che sventolava sulle bandiere. Oggi abbiamo l’elemosiniere del Papa, fattosi bandiera e attaccare la corrente a delle case occupate. Avevamo Peppino Impastato e vedere le sardine oggi, e come risentirlo alla sua radio che commentava gli ippis venuti dal continente. Se le loro proiezioni ideali erano le natiche esposti al sole, e un mondo fatto di pace e amore, oggi le sardine nemmeno quelle mostrano. La loro proiezione ideale è solo contro Salvini e rieducare il popolo ad un nuovo linguaggio. Pensando che basta adulcorare le parole, per renderle meno pericolose.
In un contesto come il nostro, oggi, dove a Taranto una multinazionale gioca per i propri tornaconti economici sulla pelle dei lavoratori. La Whirpool, l’UniCredit licenzia 6000 lavoratori. E tante altre vertenze sparse in tutta Italia. Un mondo del lavoro senza articolo 18. Un mondo del lavoro che fa più morti di una guerra civile. Un mondo del lavoro fatto di appalti subappalti e precarietà. Un territorio devastato dalla mancanza di adeguate infrastrutture. Ponti che crollano dall’oggi al domani. Un meridione ormai abbandonato. Per non parlare di pensioni e futuro pensionistico. Una disuguaglianza sociale, ormai arrivata a limiti insopportabili. Per non parlare dei migranti. L’unico scopo e usarli per la sola propaganda politica.
Ci sarebbero una marea di argomenti da trattare e rivendicare per riempire le piazze, ma solo con un simbolo si potrebbe dargli una giusta appartenenza. E quel simbolo non può che essere la falce e il martello. In tutte le lotte che la mia generazione ha condotto, oltre alla falce e al martello, un’altra caratteristica che ci individuava i ci individua, è quella di alzare il pugno al cielo. Lo stesso pugno chi in questi giorni, in diverse parti del mondo, lo alzano le donne, per gridare contro la violenza che subiscono. Persino le donne di colore hanno manifestato con le loro bandiere e il pugno alzato. Mi chiedo se anche loro, sono come la bandiera rossa con la falce e il martello cacciate dalle piazze delle sardine.
Uno dei portavoce delle Sardine, se pur con le lacrime agli occhi, avrebbe dovuto avere la forza intellettuale per contestualizzare la bandiera con la falce e il martello che si è voluta cacciare. Non si può pensare a Berlinguer che negli indici di gradimento tra i politici più amati dalle sardine è tra i primi posti e poi trattare quella bandiera come appestata. Non si può pensare a Pertini a Di Vittorio. Proprio quest’ultimo, a segnato la linea e la differenza con chi sventolava la falce e il martello nell’ex unione sovietica, e chi invece lo faceva in Italia. Tanta differenza tra falce e il martello nordcoreano o cinese con quello italiano. Anche se fosse stata una provocazione la si doveva trattare diversamente. Appropriarsi di quel simbolo e farlo proprio. Invece si è trovato subito la frase da far gridare al popolo sopito dai colori. “Fuori le bandiere”. E tutti poi hanno intonato in coro, fuori le bandiere. Mi spiace che non ci sono stati altri che avessero gridato magari più forte il contrario. Persino Papa Francesco quando in Bolivia per dono ha ricevuto la falce e il martello sul crocefisso non si è scandalizzato né ha interpretato diversamente quello che il regalo voleva significare. Lotta, pane e giustizia sociale.
L’utilizzo delle reti sociali ormai, se il fine ultimo è riempire le piazze di “sardine” è più coerente con le code o le folle per gli acquisti natalizi o magari per l’uscita di qualche rivoluzionario telefono. Alla bestia comunicativa di Salvini, si contrappone la stessa bestia magari senza artigli, fatta di populismo che da stanziale sulla rete diventa di piazza.
Non c’è differenza tra cantare Bella Ciao e sventolare una bandiera rossa con la falce e il martello. In verità il simbolo è legato più alla lotta per il lavoro e all’emancipazione delle classi, ancora oggi oppresse. Mi potreste dire, allora è comunismo? Si lo è, come lo era nella primitiva comunità dei cristiani. Anche a Riace in Calabria, c’era una prima rudimentale sperimentazione. Oggi, invece c’è un sindaco illegittimo che confonde, lasciatemelo dire “cazzi cu patrannostra”.
Pure la parola stessa, anche senza essere un esegeta delle fonti, richiama il pane la comunione e la lotta. Costruire sopra la parola Comunismo tutto lo scibile umano, è da cretini. Contrapporre il comunismo al fascismo è da Salvini. A mio avviso alle prossime piazze, convincete la scrittrice “Michela Murgia”, secondo me saprà ristabilire il giusto vento per sventolare le giuste bandiere.
Nel bene e nel male noi siamo figli del comunismo italiano, non sovietico. Come alcuni sono figli della Democrazia Cristiana. Siamo figli di Berlinguer non di Stalin. Almeno quelli che si definiscono di sinistra. A dire il vero non solo del comunismo. La storia della sinistra italiana che si riconosceva nella falce e il martello non è fatta solo di comunismo. Cosa oggi fosse l’Italia senza i Partigiani comunisti, socialisti, Preti. Persino solo antifascisti, non saprei immaginarlo. Forse non sarei nemmeno qua, per poterlo scrivere liberamente. I partigiani avevano una bandiera ideale condivisa. Una delle tante con gli stessi simboli o il solo colore rosso di quel partigiano morto per la libertà, sotto l’ombra di un bel fior. Ecco cosa manca al movimento delle sardine. Il fiore del partigiano. Quale movimento potrebbe mai essere per il popolo e per il lavoro se è allergico a quel simbolo che rappresenta e rappresenterà sempre nella storia degli uomini e delle donne avvenire: il lavoro la libertà e la giustizia sociale.
Fate il prossimo appello e richiamate tutti con le loro bandiere a riempire le piazze delle città. Di tutte quelle bandiere antifasciste, che rispettandosi nella diversità vogliono scrivere con la lotta comune, una nuova Repubblica fondata si, sul Lavoro, ma dignitoso per tutti e per tutte. Che si dia sfodero alla spada, non per uccidere gli avversari politici, ma almeno non farli confondere nella massa. Perché per come dice Gaber, la massa fa massa. Non deve diventare un monito solo per il PD, ma diventare una piazza allargata a tutti quelli che ancora si sentono di sinistra. Senza la falce e il martello non si lotta per il popolo, ma diventerà una startup per i nuovi rampanti piccolo borghesi della politica.