Lettera Aperta di Giovanni Montesano.

Cenadi: Il defibrillatore lo tengo io a casa, quando ti serva me lo chiedi. Cazzo, mu scordai a Soverato.

Il mio paese e il senso di comunità non esiste più. La leggerezza con la quale gli avvenimenti perforano la nostra esistenza e deformano l’essenza è arrivata al di la del normale vivere umano. Tutto è piegato da una mediocrità e a volte da una quasi criminale incompetenza e abbandono sociale che fa spavento, paura più di quanto potrebbe farne un terremoto. Io ho sempre avuto paura dell’incompetenza quando si fa istituzione. Mi fa paura l’arroganza dell’incompetenza quando diventa strumento di conservazione dello stato delle cose presenti. Ho paura della paura che gli altri hanno dei migranti. E ho paura di un paese che non accoglie, anzi esclude. Cenadi ormai si sta trasformando in una sorta di memoriale urbano, dove tutto ha un suo edificio e spazio o piazza da “annomare”. Ci arrendiamo alle fatalità alle tragedie dei lutti, assolvendo la nostra coscienza di uomini, sottolineandoci in proprio quanto non abbiamo potuto fare. Ormai la lista comincia ad essere parecchia e la coscienza da assolvere diventa problematica e allungo andare si trasforma in responsabilità vera e propria. Se mettiamo infila alcuni avvenimenti degli ultimi dieci anni a Cenadi, possiamo legittimamente dire che in ragione della sicurezza sanitaria urbana e del lavoro, la logica dell’amministrazione e del sindaco non è stata quella della prevenzione, ma del lutto e delle targhe commemorative post-preventive.
Dalla deviazione per far circolare mezzi pesanti dentro strade comunali a imbuto, ingenuamente resi sicuri da dossi artificiali irregolari. Dall’ormai disinteresse della montagna e delle sue strade se non per fini speculativi, all’abbandono del laghetto in località ponte di San Giovanni. All’incuria della tubazione di scolo del campo sportivo già intitolato a Giulio Gallo; causa del crollo del muro. Per non parlare del appalto messo in essere per la gestione dello stesso campo sportivo; paghette per parenti. Non vorrei ricordare le giostre, dove mia nipote Agnese si è fatta male. Perché sono convinto che il DNA non è una opinione e per come la conosco si sarebbe fatta male ovunque. Potremmo pure dire come il piano sotto il monumento degli immigrati è diventato prima inidoneo poi idoneo poi inidoneo e adesso è un campo di bocce, coperto per le sole palle. Potremmo parlare anche in ragione delle barriere architettoniche. In una logica di sicurezza anche quelle dovrebbero rientrare nell’attività amministrativa. Ma a Cenadi non rientrano. Sia l’ambulatorio medico dei medici di base, che i rituali seggi per le elezioni amministrative che ormai vengono svolte inutilmente da più di dieci anni, si trovano sotto strada in una collocazione che la stessa prefettura ha dichiarato inidonea. Anzi, ricordo quando io ero consigliere, c’era un lavoro che è stato fatto da tecnici del posto, diciamo due compaesani pagati dal Comune. Il progetto prevedeva che per l’abbattimento delle barriere architettoniche, il Comune doveva dotarsi di un ascensore all’interno. Naturalmente oggi dopo più di dieci anni tutto è rimasto come era prima. Si è solo reso pedonale togliendo i parcheggi lo spiazza o largo, intitolato al “compasso”. Non voglio entrare nelle dinamiche relative alla sicurezza sul lavoro, perché l’ipocrisia è arrivata a dominare tutto il consiglio comunale. Sia il Sindaco che il suo l’avversario, oggi consigliere d’opposizione, avevano sostenuto l’irregolarità dell’uso dei voucher per la gestione della spazzatura. Ricordo che in un comizio lo stesso sindaco, della sicurezza non ne ha parlato a solo rinfacciato all’avversario, di voler utilizzare il servizio della spazzatura per propri fini parentali.
Se estendessimo la sicurezza degli impianti, dovremmo segnalare come in più di dieci anni gli interventi sull’illuminazione pubblica sono stati fatti in alcuni punti d’interesse interessati, lasciando il corso e tutto il resto del paese con i fili fuori dalle scatole e cavi attaccati alla meno peggio. Non c’è cultura della prevenzione a Cenadi, né educazione alla prevenzione. Siamo in balia di una artefatta cultura dell’evento. Esorcizziamo il destino come i napoletani esorcizzano il Vesuvio. Ma con una differenza, che a Napoli c’è un piano d’evacuazione e il vulcano. Da noi no. Non c’è il vulcano, né un piano d’evacuazione. Ci rimane solo un’alta pericolosità sismica insieme ad un’amministrazione ormai funebre che con i trapassi, burocratizzati dalla legge crea consenso.
Per non parlare degli anziani. La loro massima sicurezza offerta è lo Ospizio, e la collaborazione con una associazione, poco decifrabile. Se il buon giorno si vede dal mattino, dal nome si dovrebbe confessare il senso di tutto. Un’associazione, amici dei bambini che assiste gli anziani. La stessa, assegnataria di alloggi e spazi pubblici. Non si sa a quale titolo ma sicuramente a titolo gratuito. Non sappiamo il livello di professionalità dei volontari o se gli stessi vengono coadiuvati per l’assistenza da altre figure professionali. Non sappiamo se la stessa ha sottoscritto un qualche protocollo con strutture pubbliche o paritetiche. Non sappiamo se la stessa viene finanziata dal Comune o da chi viene finanziata. Non lo sappiamo perché non esiste un sito dove trovare queste informazioni. Né sul sito del Comune esiste qualche relazione con questa associazione non meglio definita. A livello nazionale esiste una associazione dei bambini, si chiama Ai.Bi. ma non ha niente a che vedere con quella di Cenadi. Non credo che sia corretto e giusto usare e veicolare messaggi sociali impropri. Ma aldilà dei legami con l’amministrazione e lo scopo sociale dell’associazione, quello che sappiamo di certo è che il defibrillatore consegnato all’amministrazione anni fa, è in dotazione all’associazione denominata “Amici dei Bambini” di Cenadi.
Un’altra cosa sappiamo, che l’altro ieri e morto per un infarto un nostro emigrato di circa 60 anni, venuto a Cenadi per le ferie. Abitava nel centro del paese. Era ritornato da una passeggiata con la bicicletta. Quando si è sentito male alcuni miei compaesani, hanno provato a fare il massaggio cardiaco. Persone abilitate, ma che non hanno avuto la fortuna di trovarsi in dotazione il defibrillatore. Un medico e un infermiere, tutte e due in vacanza a Cenadi. Gli infermieri della autoambulanza del 118 una volta giunti hanno provato a rianimarlo e nel frattempo è stato chiamato persino l’elicottero per il soccorso. Ma ormai tutto il lavoro che volontari e medici si è infranto, su la sola possibilità di non aver provato d’inizio con il defibrillatore.
Come si può, lasciare nelle mani di una associazione un defibrillatore donato al Comune, ma usato dalla stessa associazione, per i propri assistiti. Ha chi è stato dato, mi domando al comune o agli assistiti della associazione? Come si può avere in testa un defibrillatore nomade. Che senso ha?. Quale è lo scopo. Perché la stessa associazione non si è dotata in proprio, visto che ne sentiva la necessità, d’averne uno nei propri attrezzi per l’assistenza. Perché proprio quel defibrillatore e non un altro. Quando a suo tempo ho saputo del defibrillatore donato al nostro comune, pensavo che l’amministrazione lo avesse messo in una torre di sostegno segnalata, com’è si è fatto a Catanzaro, anche se il Sindaco Abramo non c’entra niente. Come si sta facendo in altri i comuni e in altre strutture pubbliche. Pensavo che lo istallassero al Campo sportivo o nei pressi del Comune. Pensavo, ma spagliavo. In un’epoca dove gli arresti cardiaci sono diventati frequenti e colpiscono non solo anziani ma anche giovani, il defibrillatore diventa l’unico salvavita possibile. Per come sono fatti oggi, il loro uso automatico e semplificato, ha la stessa difficoltà usata per chattare sui social. Un’altra cosa è la preparazione delle persone, ma su questo la stessa amministrazione non spende un centesimo di risorse né energie. Io non so, come l’amministrazione ha concesso il defibrillatore all’associazione. Se in maniere regolare, o per come si fa di solito; sperando sempre che non succeda mai qualcosa. Un’altra cosa so di certo, che se era al Comune o istallato da qualche parte, non dico che poteva salvare la vita al povero nostro compaesano, ma di sicuro, ci si poteva provare poi eventualmente lavarsi la coscienza. A questo punto io credo che per onorare la morte questa volta non c’è bisogno di targhe, ma dotare il paese di un defibrillatore messo in un posto visibile pubblico e accessibile a tutti. Anche a mia nipote Agnese.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.