Che in alcuni casi l’otto marzo è diventato un giorno rituale con le solite e ripetute ritualità silenti, ormai è un dato acclarato. Forse ha ragione Lucia Lipari, componente dell’Osservatorio regionale sulla violenza di genere che la spettacolarizzazione del tema spesso favorisce l’entrata in scena di persone distanti che si pronunciano a vario titolo ma che sul fenomeno della violenza di genere non lavorano concretamente. Tutti i dati ci dicono che la violenza sulle donne, nelle sue diverse forme, proprio in Calabria sono spaventosi. E in molti casi il silenzio delle vittime non fa emergere il dato vero, ma solo delle possibili proiezioni statistiche che ci riportano a numeri impressionanti. Uno di questi è il dato fornito dall’istat sugli accessi ai pronto soccorsi per motivi di violenza. La Calabria si attesta agli ultimi posti, sotto la media nazionale, ma rimane sopra la media nazionale per i reati spia. Questo ci dimostra quanta della violenza che subiscono le donne in Calabria sia nascosta dentro le mura domestiche nel silenzio colpevole di tutti quelli che sanno, ma per quieto vivere rimangono in silenzio. Le grida e i pianti di quelle donne che vengono maltrattate, anche se riescono ad oltrepassare le mura della propria abitazione, rimangono inascoltate, e quando succedono i drammi, arrivano le televisione o giornali, e le impressione dei vicini sono sempre le stesse: “sembravano una famiglia modello”, oppure “non ci siamo mai accorti dell’inferno che c’era dentro la casa dei miei vicini”.
Altre volte il raptus, come una forma di giustificazione psichiatrica giustifica tutto. La violenza che un uomo compie sulla donna, non è un fatto accidentale, né una patologia psichiatrica, i raptus non esistono, perché il comportamento e le avvisaglie, persino le parole, sono alimentate dalla cultura patriarcale, in cui il maschio si sente onnipotente.
Se dentro le mura domestiche si registrano i più alti tassi di violenza, anche sul lavoro le cose non cambiano tanto. Anche se la percentuale delle donne che lavorano in Calabria è bassa rispetto le regioni del nord, le angherie le molestie non mancano. Se i maschi non rispettano le donne dentro la propria abitazione, non credo che lo possono fare sui posti di lavoro. Se riescono a maltrattare le loro mogli e le compagne, figuriamoci cosa possono fare sul posto di lavoro.
E proprio sul mondo del lavoro voglio concentrare la mia riflessione, e come il sindacato in particolare, possa affrontare questa piaga in maniera più organica, anziché promuovere solo iniziative rituali, che nelle varie realtà non portano nessun frutto. Il cambio di passo deve essere più radicale.
In alcuni ambiti territoriali, e nello specifico nel perimetro di competenza della cgil area vasta centro Catanzaro Crotone e Vibo Valentia, dobbiamo registrare che da quando l’organizzazione è retta dal segretario confederale Enzo Scalese, la ricorrenza dell’otto marzo è diventata l’ottomaschio, dove al centro, non c’è più la donna ma solo una sorta di auto celebrazione. Peccato che anche in questo frangente, le donne vengono usate più come comparse silenti, o magari invitate parlanti per generare interventi che servono a riempire le iniziative. Bisogna ricordare che negli anni scorsi, proprio in vista di una manifestazione dell’otto marzo, gli scontri che nella segreteria confederale della cgil hanno generato dei disguidi e scorrettezze verso le donne, – anche se puoi fortunatamente per la sensibilità umana degli interessati tutto è rientrate- dimostra l’iper maschilismo che è stato usato dallo stesso Scalese, per cannibalizzare i rapporti interni dentro la stessa segreteria. In altre iniziative, come la rassegna sindacale sulle donne, tenutasi a soverato con la presenza della Camusso, è diventata un pretesto per boicottarla, dimostrando che il fine ultimo, non era quello di sensibilizzare il mondo del lavoro, ma solo usare l’iniziative per regolare rapporti tra sindacalisti della stessa organizzazione sindacale. Eppure quella iniziativa è stata a mio parere importante, perché, anche se aveva un titolo contraddittorio, “A fimmana m’appartena”, dimostrava quanto le donne dentro la cgil Calabria, possono essere il centro di una lotta più radicale più rumorosa e meno rituale.
Come ad esempio lo è stata l’ultima iniziativa organizzata ieri, dalla cgil area vasta centro a catanzaro. Invece di riunire le lotte delle donne di tutte le istanze territoriali in un unico e rumoroso evento, ognuno nella stessa città si è organizzato il proprio evento. Mentre alcune organizzazioni scendono in piazza a sostegno dello sciopero, altre si chiudono dentro le stanze imbandite con mimose e bandiere per parlarsi addosso. Se quando non esistevano i social, tutto rimaneva nascosto, oggi possiamo notare come la ritualità di alcune organizzazioni è diventata una ipocrisia palese. Le facce sia dei maschi che delle donne presenti a tale iniziativa sono sempre le stesse, non c’è mai un allargamento e un coinvolgimento delle realtà locali, ma sempre e solo le stesse facce, che più delle volte sono funzionarie della stessa organizzazione. E se consideriamo le pressioni le ingiustizie che lo stesso Scalese ha alimentato sui maschi dipendenti della stessa organizzazione, figuriamoci cosa può fare sulle donne, impastati dentro favoritismi e possibili collocazioni lavorative. A mio parere, poteva essere più significativa la presenta a tale iniziativa, della ragazza che negli passati è stata aggredita dal suo padrone a soverato, che tante altre esperienze. Sarebbe stata più significativa la presenza della compagna della Fiom, che ha dovuto denunciare e poi costretta a dimettersi per le angherie del suo padrone.
L’atteggiamento di Scalese e l’atteggiamento di alcune donne dell’organizzazione, mi ricordano un vecchio film su placido risotto, quando ricordava ai lavoratori, che il vero problema non sono i padroni ricci e prepotenti, ma gli egoismi, i piccoli interessi che ammazzino la speranza di un cambiamento. Lo stesso film, racconta la drammatica storia d’amore che Placido aveva con la sua compagna. Dopo l’assassinio di Placido per mano di Luciano Liggio, un dei più sanguinosi boss di mafia, la stessa compagna Leulochina Sorisi, ha protetto l’assassino del suo fidanzato, che venne arrestato proprio a casa sua. Una storia tragica che però fa emergere quanto la precarietà culturale la paura il ricatto nel contesto in cui una donna vive, può generare comportamenti privi di umanità. La violenza il ricatto la dipendenza economica che le donne subiscono, è lo strumento che il maschio adopera, per disumanizzare il rapporto, e il contesto diventa un luogo omertoso che facilita e alimenta questa disumanizzazione.
Il sindacato e i sindacalisti hanno dallo loro uno strumento importante, il ccnl, che fortunatamente mette in campo le azioni per la prevenzione di molestie e violenza nei luoghi di lavoro. Forse non basta, ma io penso che il sindacato, dal contratto e dalla contrattazione deve partire per far diventare l’8 marzo, non una iniziativa rituale ma una lotta permanente per fornire alle donne sui posti di lavoro quegli strumenti che la rendono libera e indipendente da un contesto socio culturale che in molti ambiti lavorativi è il vero problema. Né cito uno di contratto nazionale, quello metalmeccanico, ma anche altri settori in altri contratti riprendono gli stessi strumenti di tutela.
“Le molestie e la violenza possono essere esercitate da uno o più superiori, o da uno o più lavoratori o lavoratrici, con lo scopo o l’effetto di violare la dignità della persona, di nuocere alla salute e/o di creare un ambiente di lavoro ostile”.
A fronte di tutto questo, il sindacato territoriale e in special modo la cgil non può scoprirsi sensibile solo quando deve segnare la sua presenza nelle diverse iniziative, diventate ritualità da calendario. Ma attraverso un lavoro permanente sia sui luoghi di lavoro che nei diversi comuni dove è presente una camere del lavoro della cgil, dovrebbe ospitare e promuovere un vero e costante presidio di tutela e di legalità contro ogni violenza contro ogni sopruso, e contro una cultura che più delle volte rasente o ingloba una omertà criminogena. Insieme alle scuole alle università, insieme agli studenti deve far diventare la lotta l’unico strumento di emancipazione. Dal basso fino a raggiungere tutti e tutte le persone che rimangono schiacciati dalla cultura patriarcale e dallo sfruttamento. Solo attraverso il lavoro, la dignità delle donne, può generare un mondo nuovo che si lascia alle spalle la violenza. Se si continuerà sulla strada stracciata dal segretario confederale della cgil area vasta centro e alla lotta si preferiranno le solo foto di comitato sui social, sia la condizioni della donna che del lavoro nel nostro territorio rimarrà inalterato.