Una giostra di parole e di non senso
gira come un cavallo imbizzarrito
per le strade e nelle case distratto;
nel mio paese se sei sano ti danno per matto.
Non ho mai saputo cos’è la normalità
più precisamente non so cos’è l’anormalità.
Però sarà per fortuna o per neutralità
tutto mi appare chiaro in merito alla stupidità.
Non saprei come altro definirla,
potrei scambiarla con la furbizia a volte
perimetrarla in uno spazio d’ignoranza,
ma tutto mi appare chiaro se penso all’impotenza.
Divertirsi senza dargli un senso compiuto
è il primo segno di un recinto chiuso
nel giardino dei ragazzi è incluso
il costrutto di una bugia urbana e lessicale.
L’essere quello che non si è, non esiste
se la democrazia è un manuale di sporcizia
dove si festeggia la vittoria nell’’avarizia
di sentirsi amministratori senza pudicizia.
Un patriarcato congelato dalla cultura dominante
che usa le mogli come un soprammobile importante
nascondersi dietro all’usanza mascolineggiante
di sembrare intelligenti laureati e pure indipendenti.
Cambiano i rappresentanti e cambia la socialità
si trasformano le feste laiche in ritualità
e le processioni con gli inchini magistrali
in un continuo mercimonio di una comunità.
Come imparare a fare sesso immaginando il porno?
Dentro una lussuria fatta di carne e di contorno
dove tutto è mescolato in un continuo stritolamento
sfrutta il desiderio per sentirsi un po’ più contento.
Essere disonesti nascondendolo di esserlo
è l’abito più usato nella moda locale
un mascherarsi continuamente di reale
dentro un costrutto tutto mercenario e banale.
Meglio fare sesso come dice Francesco
in un cantico d’amore e di bellezza
un giardino di libertà senza appartenenza
che non si brucia in una prepotenza
ma di potenza e rispetto ci si bagna,
si ama la nudità senza vergogna.
Fortunatamente io c’ho i miei libri
mi fanno compagnia o mi intristiscono
cantano, stanno muti o si fanno colibrì,
mortifere le solitudine che scavano ad ogni dì.
Amo più di quanto si può credere il mio volo
di sentirsi appagato senza mai restare solo.
“Per il bene la stupidità è un nemico più pericoloso della malvagità. Contro il male è possibile protestare, ci si può compromettere, in caso di necessità è possibile opporsi con la forza; il male porta sempre con sé il germe dell’autodissoluzione, perché dietro di sé nell’uomo lascia almeno un senso di malessere. Ma contro la stupidità non abbiamo difese. (…)
Se vogliamo trovare il modo di spuntarla con la stupidità, dobbiamo cercare di conoscerne l’essenza. Una cosa è certa, che si tratta essenzialmente di un difetto che interessa non l’intelletto, ma l’umanità di una persona. Ci sono uomini straordinariamente elastici dal punto di vista intellettuale che sono stupidi, e uomini molto goffi intellettualmente che non lo sono affatto. Ci accorgiamo con stupore di questo in certe situazioni, nelle quali si ha l’impressione che la stupidità non sia un difetto congenito, ma piuttosto che in determinate situazioni gli uomini vengano resi stupidi, ovvero si lascino rendere tali.
Ci è dato osservare, inoltre, che uomini indipendenti, che conducono vita solitaria, denunciano questo difetto più raramente di uomini o gruppi che inclinano o sono costretti a vivere in compagnia. Perciò la stupidità sembra essere un problema sociologico piuttosto che un problema psicologico.
Osservando meglio, si nota che qualsiasi ostentazione esteriore di potenza, politica o religiosa che sia, provoca l’istupidimento di una gran parte degli uomini. Sembra anzi che si tratti di una legge socio-psicologica. La potenza dell’uno richiede la stupidità degli altri. Il processo secondo cui ciò avviene, non è tanto quello dell’atrofia o della perdita improvvisa di determinate facoltà umane – ad esempio quelle intellettuali – ma piuttosto quello per cui, sotto la schiacciante impressione prodotta dall’ostentazione di potenza, l’uomo viene derubato della sua indipendenza interiore e rinuncia così, più o meno consapevolmente, ad assumere un atteggiamento personale davanti alle situazioni che gli si presentano. Il fatto che lo stupido sia spesso testardo non deve ingannare sulla sua mancanza di indipendenza. Parlandogli ci si accorge addirittura che non si ha a che fare direttamente con lui, con lui personalmente, ma con slogan, motti, ecc. da cui egli è dominato. E’ ammaliato, accecato, vittima di un abuso e di un trattamento pervertito che coinvolge la sua stessa persona. Trasformatosi in uno strumento senza volontà, lo stupido sarà capace di qualsiasi malvagità, essendo contemporaneamente incapace di riconoscerla come tale.”
Dietrich Bonhoeffer (1906-1945), Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere ……Pagina 66.