Qui si fa la guerra o si muore, in alternativa puoi essere Putiniano.

In quasi due mesi e passa di giorni di guerra, si è pensato come mandare le armi per difendere l’ucraina da Putin, ma non si è riflettuto abbastanza come aiutare gli ucraini da se stessi. O da quello che ancora non sono diventati. Forse si possono delimitare i confini di un territorio, ma non si crea un popolo. Non si creano gli ucraini, con il solo fatto di aver difeso un territorio. Certo, c’è bisogno di sangue per creare un popolo. Il rosso di tante bandiere è il sigillo dei popoli con la loro storia. È altrettanto vero, che non basta far passare la bandiera nelle mani di Papa Francesco, per dare alla bandiera dell’ucraina quel rosso che gli manca.

Qui si fa l’Ucraina o si muore, nel contesto mondiale in cui oggi tutti viviamo, dovrebbe essere: o si fa la pace o si muore. Quello che si è capito sulle guerre moderne, che chi paga le conseguenze sono i civili i bambini e la popolazione inerme. Lo sanno prima che scoppia che i risultati saranno questi.

Lo sanno che dentro una guerra ci saranno massacri e i cosiddetti crimini di guerra saranno certamente, il lavacro per lavarsi coscienze e giustificare interventi, sempre di guerra. Hanno persino algoritmi di guerra. Satelliti e occhi bionici pronti per narrare quello che la guerra narra da sempre: morti e massacri. Una guerra di paradossi, dove i nazisti possono diventare eroi, i comici presidenti e i territori e le città, teatri di guerra per dirette streaming. Tutto dentro una comunicazione dove i morti per strada diventano genocidi, solo perché i corpi sono distanziati tra di loro. Al contrario sono morti ammazzati, quando nella loro sfortunata morte, trovano la fortuna di una sepoltura. Una guerra di parole proibite, dentro un’altra guerra, sempre di parole, che a volte diventano musica non per veicolare la pace, ma la vittoria di una guerra, che non hanno voluto ma adesso ci trovano gusto a farla.

Una guerra che spinge tutti ad essere più armati. Protetti dal possibile nemico. Eppure basterebbe non avercene di nemici. Ormai persino questa certezza è svanita. Per vivere in pace ti devi fare dei nemici. In tutta questa guerra guerreggiata di parole e d’armi, non si è pensato come mettere in sicurezza il grano dell’Ucraina, di cui il mondo povero ha bisogno. Geniali analisti militari e geopolitici in televisione avevano la guerra nucleare in testa, e in due mesi hanno interpretato Putin senza risultati. Il mantra di un pacifismo con l’elmetto, propugna una pace armata. La retorica ormai fattasi manuale è identica, anche se variano le bocche che la pronunciano.

Si riescono a montare, caricare e spedire pezzi di artiglieria, carri armati, bombe e ogni sorta d’arma, ma non si è riusciti a svuotare i silos di grano, e metterli in sicurezza. Mi chiedo le multinazionali, quelli che possiedono le sementi e il controllo di tutta una filiera ormai anche quella di guerra alimentare, cosa stanno facendo. Perché nel tavolo inutile delle trattative non si è messo il pane come garanzia per una tregua.

Forse se una guerra dovrebbe essere fatta, non può essere ristretta solo a pezzi di territorio conteso. Non è la terra che fa diventare patriottici le persone, ma il pane, quando serve al mondo per sfamarsi. Un patriottismo popolare terrestre, dove l’unico confine visibile è la distanza che ha la terra dal cielo.

Certo, la possibile carestia non colpirà l’Occidente. Figuriamoci l’America. L’occidente non ha bisogno del pane. Solo perché i dietologi delle società consumistiche occidentali, lo hanno eliminato dalle diete. Forse noi resisteremo senza pane, ma tanti altri nel mondo, tanti,  non possono avere la stessa nostra dieta, perché il pane gli serve per poter vivere non per non ingrassare. Forse bisogna inventare delle sanzioni che colpiscono tutti coloro che impediscono di sfamare il mondo. Forse c’è bisongno di un’allargamnento della solidarietà per pacificare il mondo, non per allargare perimetri di pace che vogliono fare la guerra.