Soverato: tu sfrutti, io ti boicotto.

A volte la solidarietà espressa da tanti per le violenze che subiscono i lavoratori e le lavoratrici sul posto di lavoro al di qua del Pollino e in special modo nel nostro perimetro quotidiano di vita, sono come i devozionali minuti di silenzio, per la conseguenza della morte di un lavoratore o una lavoratrice.

Tutti hanno espresso solidarietà alla lavoratrice, partendo dal sindaco e finendo al presidente della regione. Visto che si parla tanto in questi ultimi mesi di taxi e di concessione demaniali, si spera che nelle prossimi concessioni demaniali che saranno messe a mercato, si possano trovare forme per inserire clausole che prevedono la revoca immediata della stessa concessione, se nelle attività svolte dall’imprenditore si registrano forme di caporalato o sfruttamento della manodopera impiegata.

Io penso che la retorica della solidarietà invece di essere solo enunciata, bisogna viverla e manifestarla verso tutti e tutte, dentro uno stato di lotta permanente che non registri solo il fatto, ma lo previene. Che metta le persone nelle condizioni di usare tutti gli strumenti di difesa necessarie per vedersi garantiti i propri diritti. Che non vengano lasciati soli ad affrontare le fameliche e indemoniate violenze del padrone. Il rischio che si corre nel perseguire solo la retorica della solidarietà, è quello di produrre un legalismo che imbottiglia tutto; persino la lotta viene ridotta in un apparire estemporaneo.

Tutti sanno le condizioni dei lavoratori, in special modo nel settore della ristorazione e del turismo. In molti casi, la pattuizione del compenso è legato più alla concorrenza al ribasso della tanta manodopera da sfruttare in stato di bisogno permanente; che dai ccnl. Se in altri settori al di qua del Pollino, il rischio più frequente è quello di rinunciare ad alcuni istituti contrattuali; in quello dell’agricoltura e ristorazione il contratto collettivo nazionale di lavoro viene superato da pattuizioni illegittime e in nero. C’è pure il grigio, quando i lavoratori a fronte di una busta paga con una cifra, ne devono restituire una parte in contanti. Gli orpelli sono variegati, ma tutti sono generati per mantenere lo sfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici.

Quando non si arriva prima ma si è costretti a registrare solo i fatti. Quando nel territorio gli spazi di tutela sindacale vengono ridotte da riorganizzazioni solo burocratiche e non attraggono i lavoratori e le lavoratrici: qualche domanda la dobbiamo porre. La bassa sindacalizzazione nei nostri comuni, va a sbattere in molte occasioni con una gestione quasi familiare dell’azienda. L’iscrizione al sindacato, nelle piccole realtà non viene nemmeno concepito. Tante volte ho sentito pronunciare da alcuni imprenditori che nelle loro aziende non serve il sindacato. Ecco, quando un imprenditore, sia piccolo che grande, mette in moto questo stratagemma di sottaciute minacce, allora proprio in quelle aziende il sindacato servirebbe quanto serve il pane da mangiare. Altre volte la solfa è di diverso spessore. Imbottigliano il lavoratore nel sentimentalismo della retorica della famiglia. Anche in questo frangente, c’è bisogno di sindacato. Perché, tante volte succede che più di una azienda famigliare è un covo di vipere. Forse in questo ultimo caso, non si arriva alle minacce ne alle mazzate e nemmeno alle bestemmie, ma lo sfruttamento rimane comunque fine ultimo dell’imprenditore capo famiglia.

Tanti sono le difficoltà per arrivare a sindacalizzare un lavoratore o una lavoratrice, ma se registriamo che questa difficolta invece di diminuire aumenta, forse dobbiamo anche porre l’accento sulle politiche sindacali che nei territori sono stati attuati, ponendo nella maggioranza dei casi, una politica sindacale di ripiego che ormai è concentrata più sul dopo che sul prima. Se il sindacati, tutti, non prevengono gli abusi, ma si limitano a registrarli soltanto, perdono la loro funzione di tutela colettiva, e si trasforma in un ufficio vertenze individuali. La vicenda, della lavoratrice migrante a soverato fa emergere tante discrasie e tanti ipocriti comportamenti, che abbelliscono i contenitori, ma non hanno contenuti.

Dai giornali emerge che non era il primo rapporto di lavoro che ha avuto. Prima di arrivare a SOVERATO aveva lavorato in un struttura per la quale il solo fatto di avere come titolare un ex carabiniere, gli avrebbe dovuto dare quella sicurezza che in altri posti non ha mai trovato. Ma non è stato così. Lo sfruttamento da noi è tanto, e in special modo per quei lavoratori, molto di più se sono donne e ancora molto di più se sono migranti, è nascosto dallo stato di bisogno che in molti casi è la condizione per non avere ne la forza né il coraggio di ribellarsi.

A me personalmente anni fa, mi è capitato sempre a soverato, di registrare la storia di un altro lavoratore migrante, che per paura delle minacce del padrone del Bar dove ha lavorato, è scappato senza chiedere niente di quello che gli sarebbe spettato per il lavoro svolto. Scappato, perché le minacce verso migranti che scappano da sempre per la vita, sentirsene una di morte, era troppo da sopportare. Quando non hai nessuna rete di tutela familiare o istituzionale, scappare gli è sembrato l’unico modo per salvarsi. Fortunatamente oggi a soverato i padroni hanno trovato una mamma, che non si è arresa. In questa storia di sfruttamento, oltre alla violenza registrata da un padrone a dir poco indemoniato, ha fatto emergere un altro aspetto che non possiamo minimizzare. La rete di protezione che potrebbe avere un lavoratore sindacalizzato, è l’unica arma che può sottrarli allo sfruttamento. Questa rete si costruisce con il conflitto e la lotta dentro una solidarietà di fatti, che metta insieme e organizzi i lavoratori, e non li riduca a sole vertenze burocratiche. Da ispettorato del lavoro e tribunali.

Mai come oggi, la tenda da campo rossa dei diritti, dovrebbe essere un presidio per la legalità di tutti. Le lotte dei singoli devono diventare di tutti. Nessuno si deve sentire solo, non deve essere solo uno slogan ma un dato di fatto.

Il coraggio di Beauty grida per tutti quelli che subiscono lo sfruttamento, dentro le stesse cucine dello stesso litorale. A tutti i lavoratori coinvolti, ma grida anche a tutti coloro che usufruiscono dei servizi, esortandoli a passare da un consumo bulimico e ipocrita, a un consumo critico e umano. Mettendo nella scelta non solo il risparmio e la qualità dei prodotti o servizi, ma anche la condizione dei lavoratori. Esistono decine se non centinaia di applicazione per il telefono che recensiscono i locali, i prezzi, il costo del servizio e la qualità dei prodotti. Esiste una lista in prefettura, che impedisce a chi ne fa parte, di partecipare agli appalti pubblici. Forse è arrivato il momento che qualcuno scrive una lista o un applicazione, con tutti gli esercizi commerciali che negli ultimi anni  hanno avuto scarso rispetto dei diritti dei lavoratori. Io c’ho il nome: tu sfrutti, io di boicotto.