Cenadi

Cenadi.

Sovente ritorno a dipanare l’aria della nottata
ormai pesante come una spada ritrovata
s’infila prima di sopra e poi discende di sotto
in un destino segnato da una camminata.
Gli estremi appuntano il passo, più della storia,
di quella guerra persa e di quella vinta
di chi c’è caduto e chi risorto in gloria
di chi ha disertato perché aveva la moglie incinta.
Oscura notte di un cammino purificatore
leggere le parole appese, è un disonore
il marchio massonico da imbroglio è volgare
la targa è parossistica, toponomastica da strappare.
Tutto è concentrato in una disonestà reale,
involontario comportamento per campare
trovare l’appiglio d’essere un uomo poco carnale
e vivere a stagioni il senso del camminare.
Nasce da un prima e un dopo da un sopra e un sotto
l’ideologia che ha un suo perché e un suo complotto
realtà manicomiale vissuta e vestita da un cappotto;
la politica nasconde il corpo dentro un suo cassetto.
Il paese dei doppi idoli sacramentati identici
impone l’etica agli indigeni battezzati
restare dentro un corpo per essere parificati
e passare nell’altro per sentirsi idolatrati.
Ti puoi sentire tutto e il suo contrario
essere credente e razzista e non saperlo
diventare asettico al potere dell’immaginario
trovare nel doppio una etica da merlo.
Non è disprezzo ma una rabbia consacrata
dentro un circolare urbano ormai quasi estinto
la vita ci possiede entrambi sotto una grata
ci unisce il grido di un parente estinto
un assurdo amore in un lamentoso canto.