Famigliameria frocia.

Non c’è diritto nel voler procreare
ne plasmare costole asessuate
ne trombare e dire di poter figliare.
Volere un figlio per mestiere
una famiglia da incorniciare
un paradosso di uno non nato
gli mettono il cuore e lo chiamano neonato.
Dovrebbero pensare i fallici aspiranti
che la famiglia è una condanna
tutto al più è una colonia penale
dove la pena te la scrivono sulla schiena.
Vogliono famiglie come gli eterosessuali
magari di quel tipo fiutato da cani molecolari
oppure nascostamente celata da un si sull’altare
davanti al prete che benedice tutto da rituale.
Protozoo di un aneddoto mai esistito in apparenza
il diritto alla violenza nella famiglia diventa coscienza.
Il silenzio di una donna è come l’ira di Dio
in un cerchio dannato di cui Dante si è dimenticato.
Le donne sono le prime vittime esemplari
si bevono il loro sangue sopra una stoviglia o una rosa
storie maledette sulle fotografie di una sposa.
…….Non sono contro ne a favore.
Quando faccio all’amore non voglio nessun tutore
che sia legale o di plastica lattiginosa
non ho sesso, ma amo il cuore di ogni cosa.
Non ho bisogno di un nucleo naturale e predeterminato
decido io cui amare senza vincolo parentale
mi sposo chi mi pare rimanendo costituzionale.
Non ho sesso ne posso adottare nessun castrato
l’uomo non nato è solo un surrogato
un battesimo con la provetta devitalizzata;
l’amore è per i vivi non per carne idealizzata.

Per. M.M.

Addendi invertiti

Sei di minoranza sei d’opposizione
una scelta alternativa è una questione
di una collocazione senza previsione.
T’imbarazza avere un idea una sola faccia.
Meglio avere il naso per l’odore
e doppie orecchie per udire il rumore
che la vista per vedere uno scuro mi compiaccia.
Sei di maggioranza ma non tieni la ragione
non hai mangiato per primo la comunione
tutto deciso c’è la prescrizione.
Sei un torto dentro una prigione
meglio starne fuori ed essere coglione
mettersi le calze spaiate senza processione.
Senza santo ne santuario da visitare
prima che ti mettano sopra qualche altare
di una chiesa sindacale post conciliare.
Non c’è spazio per le idee dentro un compendio.
Mi si consumano e pur essendo pietre
alimentano il fuoco del mio incendio;
pare che è una, ma messi assieme sono tre.
Non c’è di qua ne di la in una collocazione
non è una idea è solo una opportuna posizione
gli addendi sono numeri mica persone
non c’è comunità ne interazione
non è corrente ma in alternativa c’è la soluzione
distinguersi dal niente è sudore di una maledizione.

Non cogliere la mela quanto è marcia.

Se fosse un attimo sarebbe banale
coglierlo è del tutto irrituale
non ci si arriva con la mano ma col cuore
il tempo che non può passare
è fermo tra un t’amo e l’avvenire.

Bozza per il nuovo statuto dei lavoratori.

Odio gli indifferenti. Non è una citazione.
Quelli che si abbuffano d’aria e vomitano parole
li vedi sempre impegnati per il sociale
con il loro culo che non ha paragone.
A me non interessa cosa gli fanno
non m’interessa se li stanno purgando.
Verranno e ti diranno che loro sono aglio
poi diranno che sei addirittura il meglio.
“Sul cartello c’era scritto: alzateci il salario.
L’hanno coperto con un’altro cartellone
c’è scritto: il tuo sapone lava meglio”.
Ad un palmo del mio ano gli facciano ciò che vogliono
tanto io sono al posto giusto, o nel giusto posto mi mantengo.
Cosi diceva l’indifferentemente maschio e uomo
al contempo diventava indifferentemente donna e femmina.
Ne dico trans, ne dico escort non dico puttana;
prostituire l’aria è dote sovrumana.
Non dico etero invertito ne mussulmano
di teste ne avranno tre o quattro dentro la mano
a cosa serve tagliargliele, se si quadruplicano.
Una testa mozzata si fa formaggio o cagliata
una vacca munta è onesta addirittura onorata.
Meno di cento fa quasi cento al percento
meno di 50 è furto quasi na parziale trombata
pare una stragiudiziale predeterminata.
L’indifferente gode della luce che è indisponibile.
Solo l’interruttore è un giocattolo disponibile
non può spegnere il Sole ma forzare l’idea della luce.
Quando t’arriva negli occhi è marmellata che produce.
Parole che non valgono niente, ne sono parole
ci s’accappotta la barca e noi contiamo le ore alla prole.

Diamanti fossilizzati

Un giorno divorerà a morsi un pezzo di cielo
in pezzettini piccoli da tenerli in tasca.
Mangiarsene fino a consumare sulla sua testa
il quadro dell’incanto di quello che resta.
Non si può sanzionare ne autodenunciare
I dentisti hanno un protocollo da seguire
mutualizzati senza ticket da pagare
di uno stato sociale celestiale da perseguire.
Lo masticherà di felicità fino a rovinarsi i denti
prima che il catrame gli e li copre
prima che ritornino di latte o siano cadenti
indemoniati e dispari come quelle delle capre.
Persino le lenti degli occhiali sono gratuiti
Il cielo quando si avvicina fa male agli occhi
un diritto per gli oculisti farli avere unti
della fantasia di non vederli pieni di tronchi.
Il suo pezzo, lo sputa dentro il vento di libeccio
trasformato nella sua bocca in speranza
ricopre con il suo torto, forse il suo marcio
l’amore per sbaglio provato dentro una stanza.
Il cielo non ha scadenza ne marcisce
è buono per l’appetito, ce ne si può cibare.
Il petto non gli contiene tutto l’attorno che perisce
I diamanti sono fiori fossilizzati dentro un altare.

La serenata di Dio.

Odio l’etica e la politica la dottrina paritetica
la critica analitica, la morale indigesta
dentro stomaci ribollenti di una festa.
Odio l’estetica la gnostica l’apocrifa e la canonica.
Gli atei e i miscredenti, lo fanno a posta.
Gli amici gli affini e i parenti che si fanno predica
senza avere una bandiera che sventola su nessuna asta.
Odio il mio Paese che è ipocrita come una faccia di plastica.
Si dondola eternamente su di un amaca
come un avatar senza nessuna Itaca.
Natale, Capodanno Epifania,
solo tre parole che il tempo porta via.
Pesa la notte come una piuma
schiaccia solo chi non è al riparo
dentro le famiglie che non sono mai un faro.
Mangiate lo zampone o il cotechino,
le lenticchie per i soldi, e bevete magari vino.
Il mio vomito è rosso come un pachino
quest’ultimo dell’ anno, le dita in gola mi metto
rigurgitare il destino dentro il mio petto
come un disturbo alimentare un difetto.
Cucio parole per imbrigliare il tempo
nel mio orto mentale zappo pure il mio campo.
Parlo solo alle anime o alle carni infelici.
Allargo a dismisura le mie narici
per sentire l’odore di un dolore, che provo a provare.
Ma il dolore è un giaciglio personale
se lo tocchi l’offendi fai ancora più male.
Una bolla che non ha aria come respirare colla
per manomettere i giorni che non sono più caldi ne freddi
non hanno peccati da scontare se sanno di Odifreddi.
Non ho forza sono una scaricata molla
arrivo appena sul tuo tetto come una palla
per darti in mano una specie di panno
per odiare l’anno più che il capodanno.
Per raccogliere il dolore con una sola passata
e dire a Dio; invece dei botti di cantarti in petto una serenata.